Gli italiani sono fatti, ma non sono riusciti bene

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di ENZO TRENTIN – Il 15 settembre 1923, Ernest Hemingway scrisse per “The Toronto Daily Star” un articolo sul mestiere di re in Europa. Prendiamo a pretesto il brano riguardante l’Italia per fare un po’ di speculazione intellettuale, e di raffronto con i nostri giorni.

«King Business in Europe Isn’t What It Used to Be […] Vittorio Emanuele d’Italia è un ometto basso, molto serio, mani e piedi piccolissimi. In divisa, quando portava le fasce militari, le sue gambe apparivano tozze e smilze come quelle di un fantino. La bassa statura del re d’Italia è una caratteristica dell’antica casata dei Savoia, nella cui lunga serie di regnanti i più alti erano anche più bassi di pugili peso bantam [peso gallo. Ndr].

Attualmente il re d’Italia è forse il più popolare sovrano d’Europa. Ha ceduto il regno, l’esercito e la flotta a Mussolini. Mussolini glieli ha resi cortesemente con molte proteste di fedeltà alla casa Savoia. Poi ha deciso di tenersi l’esercito e la flotta. Quando chiederà il regno, nessuno è in grado di dirlo.

Ho parlato a molti fascisti, antico nucleo originario del partito, che avevano tutti giurato di essere repubblicani. “Ma abbiamo fede in Mussolini” dicono. “Mussolini saprà quando sarà il momento.”

C’è una probabilità, naturalmente, che Mussolini sia disposto a rinunciare alla sua vecchia idea repubblicana, come già fece Garibaldi. Lo ha fatto temporaneamente, ma ha il dono di fare apparire definitivo ciò che fa provvisoriamente».

Ecco allora le speculazioni che ci sentiamo di proporre: nel suo lungo regno, Vittorio Emanuele III ricevette dalla stampa, da eminenti uomini di cultura o da politici, alcuni epiteti celebrativi legati alla Grande guerra: il “Re soldato”, “Re di Peschiera”, “Re della Vittoria”, o semplicemente “Re Vittorioso”. Dopo l’8 settembre 1943 fu anche chiamato dai fascisti di Salò il “Re Fellone”. Per l’ennesima volta l’Italia cambiava alleato nel corso di un conflitto. In fuga da Roma il Re, suo figlio Umberto, con Badoglio e lo Stato Maggiore approdarono a Brindisi, e la confusione provocata generò il caos in tutti i fronti sui quali ancora combattevano gli italiani. Lasciati senza precisi ordini, 815.000 soldati si sbandarono, vennero catturati dall’esercito germanico, e furono internati in diversi Lager.

In modo inverso nel corso della II G.M. i sovrani norvegesi e olandesi si ritirarono in esilio durante l’occupazione tedesca dei loro Paesi. Rimarchevole Cristiano X di Danimarca. Egli rimase nella capitale durante l’occupazione, diventando così un simbolo visibile di lealtà. Senza scorta, senza accompagnatori, solo con il suo cavallo Jubilee Cristiano X era un esempio di resistenza passiva, non violenta, e sosteneva in modo esemplare il morale dei danesi. Ostentò persino la Stella di Davide (il segno distintivo ebraico imposto dagli occupanti nazisti a tutte le persone di religione e di origine ebraica, nei Paesi occupati) come segno di supporto e solidarietà con gli ebrei danesi, che soffrivano la persecuzione durante l’occupazione.

Considerevole il salvataggio di migliaia e migliaia ebrei durante tale occupazione. Il Movimento di Resistenza, e l’aiuto di molti civili danesi, diedero vita all’evacuazione via mare degli ebrei dalla Danimarca verso la vicina Svezia neutrale. Oltre a quel salvataggio, l’interessamento dei danesi per la sorte del 5% di ebrei autoctoni che erano stati deportati nel campo di concentramento di Theresienstadt, consentì a più del 99% degli ebrei danesi di sopravvivere all’Olocausto.

Forse bastano questi dati per comprendere come, ad un certo punto, gli italiani optarono per la repubblica. In ogni caso l’opinione pubblica non ha idea di cosa siano disposte a fare alcune persone per esercitare il potere. Ci sono tanti diamanti falsi in questa vita che passano per veri, e viceversa. Dunque è bene soffermarsi a constatare che il “Re Fellone” amando la numismatica, non voleva impicci di governo, ma non per questo aveva smesso gli abiti del disinvolto. Mussolini pur di fare il Duce strizzò l’occhio alla borghesia, alla chiesa, ai Savoia. L’ipocrisia è un buon lubrificante, e lui non era meno spigliato. Dell’opinione degli iscritti al PNF non si curava granché.

Si sa che i seguaci di partito basta incistarli negli organismi dello Stato per farli star buoni e fedeli. In fondo un partito politico è ancor oggi una macchina centralizzata al servizio del leader, e della quale il leader non può fare a meno per raggiungere i suoi scopi. Anche ai giorni nostri chi avrebbe mai dato a Umberto Bossi la responsabilità di amministrare un condominio; ma tramite la Lega Nord…

È un giochino che funziona anche per un personaggio dalla lingua sciolta. Prima di fare il politico è anche stato un imbonitore che, con il pomposo appellativo di promoter, instradava i giovani nelle discoteche.

Nel dicembre 2014, in quella che fu la riunione sino ad allora più partecipata di indipendentisti veneti: circa tremila, a Bassano del Grappa. Gli ingenui “indy”, prima gli fecero da cordone di sicurezza durante il corteo, poi lo fecero salire sul palco a sermonggiare sull’indipendenza del Veneto. Passarono poche settimane, e già agli inizi del 2015, in piena campagna elettorale per le regionali, tentò di far credere che l’autonomia del Veneto è un passo necessario verso l’indipendenza. L’elettorato lo premiò.

Domanda: preso atto di come vanno le cose nel mondo, forse è giunto il tempo di sostituire le “democratiche” elezioni con dei ballottaggi?

Comunque, il “nostro”, come manovratore s’era già distinto nel 2014 quando operò per far approvare una legge regionale atta a indire un referendum consultivo per l’autonomia (legge regionale 15/2014), ed il giorno successivo un’altra per un referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto (legge regionale 16/2014).

Domanda: come poteva non sapere che specie quest’ultima L.R. gli sarebbe stata cassata dallo Stato centralista?

I mesi passano, i suicidi di imprenditori che non ce la fanno a sostenere un fisco persecutorio sono centinaia. L’opinione pubblica non è certo soddisfatta dei governi Monti, Letta e Renzi. È alla ricerca di soluzioni. Sembra ragionevole supporre che l’autoctono manovratore, ai giorni nostri, riproponga l’artificio. Insomma, una sorta tria o tris o tela o filetto; nomi che vengono usati per indicare il gioco che si può considerare una semplificazione del mulino.

Manovra (attraverso i Consiglieri Finozzi, Sandonà, Montagnoli e Michieletto) per indire un referendum consultivo per l’autonomia del Veneto in autunno 2016. Non si sa se congiuntamente con il suo omologo alla Regione Lombardia. A proclami e promesse sono entrambi forti, e l’elettorato li ha sempre premiati; ma Matteo Renzi ha già detto che non si faranno questi referendum. Tuttavia la questione non è archiviabile, e dal cilindro un coniglio uscirà. Forse è meglio utilizzare una “testa di turco” (Si dice di una persona sulla quale vengono fatte ricadere tutte le colpe o le responsabilità altrui). Prontamente Antonio Guadagnini deposita il magniloquente Progetto di Legge n. 154: Referendum consultivo sull’indipendenza del Veneto.

A proposito di “testa di turco” – ça va sans dire – quihttp://www.miglioverde.eu/piemonte-continuo-credere-debba-regione-autonoma/  Roberto Gremmo accenna ad un esemplare piemontese: Renzo Rabellino, che con le sue disinvolte e compulsive acrobazie elettoral-politiche ha praticamente “disinnescato” le aspirazioni autonomistico-indipendentiste di quel popolo.

Sui social network, intanto, non manca qualche ingenuo che sostiene la bontà di una chiamata referendaria duplice e simultanea: 1) volete l’autonomia? 2) Volete l’indipendenza? Sanno tutti che giocando sulla disaffezione dell’elettorato e sull’equivoco, il risultato finale sarà pressappoco: «Vedete, i veneti vogliono l’autonomia, non l’indipendenza». Oppure, «i veneti non vogliono l’autonomia, figuriamoci se vogliono l’indipendenza!», poiché è lapalissiano che in caso di vittoria del referendum per l’indipendenza diranno: «Ma in fondo si trattava solo di un referendum consultivo…»

Sosteneva lo scrittore e commediografo William Somerset Maughan: «L’ipocrisia è un compito ventiquattr’ore su ventiquattro.», e la constatazione è che una finzione non può durare. Prima o poi gli indipendentisti veneti si stancheranno dei venditori dei gadget, dei conferenzieri impegnati a spacciare come perfetta l’oligarchia della Serenissima, dei memorialisti di celebrazioni storiche, di solleticare l’orgoglio per antiche battaglie vinte, e di plebisciti truffa. Alcuni stanno già organizzandosi per elaborare la bozza di un nuovo assetto istituzionale. Così forse le anime candide la smetteranno di sognare la vittoria di un referendum consultivo le cui conseguenze è fuor di dubbio che l’Italia non rispetterà.

Secessione! Secessione! Altro che referendum!

Si inneggia in molti ambienti indipendentisti.

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