di MARCELLO RICCI – Un arabo di 42 anni Samir M., condannato con sentenza definitiva per traffico di armi e di stupefa-centi aveva richiesto nel marzo 2005 al Tribunale di sorveglianza di Ancona l’affidamento ai servizi sociali o in alternativa la semilibertà. La richiesta fu respinta e la difesa di Samir è ricorsa in Cassazione; la Prima sezione penale ha nuovamente bocciato la richie-sta. La notizia è, a prima vista, di scarso interesse, ma dalla sua lettura si ricavano valutazioni che travalicano il caso. La difesa ha basato la richiesta, sull’impegno religioso manifestato dal detenuto, di fede islamica, da cui, secondo l’avvocato, era derivata una profonda e positiva modi-ficazione della personalità.
La «positiva evoluzione della persona-lità è un elemento di riscontro impor-tante dal punto di vista dei giudici per la concessione dei benefici richiesti; la Cassazione pur dando atto che, in ge-nerale, l’adesione a principi religiosi» è un dato positivo, perché utile al recu-pero dei valori morali è entrata in un’a-nalisi della religione islamica. Precisa la sentenza della Cassazione, «’è noto che, nell’interpretazione attuale di taluni gruppi di “integralisti”, la religione islamica è concepita in termini conflittuali e di ostilità nei confronti di diverse concezioni di vita». Ne consegue che «’senza costituire un elemento in quanto tale nega-tivo, neppure l’impegno religioso fornisce una base sicura per affermare una positiva evoluzione della personalità, suscettibile di ulteriore sviluppo in regime alternativo alla detenzione, tanto più in presenza di una elevata capacità criminale di partenza, espressa nei gravi reati commessi».
In pratica, per la Suprema Corte, la fede islamica è un dato “neutro” per valutare il diritto, o meno, di un detenuto a ottenere i benefici penitenziari. Queste le motivazioni della 1° Sezione della Suprema Corte (sentenza 1737/06)
con cui ha dichiarato “’inammissibile” il ricorso presentato dal detenuto, di fede islamica, S. M. Dalla lettura della sentenza emerge come sul giudizio ha pesato una valutazione dell’ispirazione coranica di atti violenti contrari a ogni etica e ai principi basilari della sacralità della vita. Anche le guerre, comunque sempre ingiustificate e barbare, hanno delle regole sancite anche dalla convenzione di Ginevra.
Inutile elencare i genocidi (molteplici, compreso quello degli armeni), gli atti di ferocia inauditi compiuti a danno di incol-pevoli inermi (dagli impiegati delle Torri Gemelle sino ai bambini della scuola elementare di Beslam), gli attentati dei kamikaze, doppiamente lesivi della dignità umana, (da chi si lascia esplodere a chi ne è colpito) tutti, assolutamente tutti hanno le loro radici nell’Islam, nel Corano… pardon, nei versetti satanici.
Non è un attacco a un credo religioso, ma neanche si può accettare la distinzione fuorviante tra Islam e integralismo islamico, non entra nel distinguo del Corano medinese (ispirato alla pace) e del Corano meccano (ispirato alle stragi), ma sanci-sce l’esistenza di una radice criminale verniciata di religione. Lo si è detto, non si tratta di mettere al bando una religione in quanto tale; tuttavia bisogna evidenziare come mai, lo si ripete e lo si ribadisce, mai nessuna organizzazione islamica, ha segnalato preventivamente la preparazione di qualsiasi atto criminale consentendone la neutralizzazione.
Esiste una separazione netta tra integrali-sti e islamici moderati? Esistono moschee e madrasse dedicate solo agli integralisti o frequentano tutti le stesse? È credibile che gli accordi per le azioni criminali siano pensate, concordate in stanze segretissime senza che alcuno ne abbia il minimo sentore?
È possibile che nessuno noti per discorsi e atteggiamenti sospetti, i soggetti che teo-rizzano e attuano le stragi? Sino a oggi il concetto di religione ampliato, protetto ed esteso senza alcun senso critico, ha negato la possibilità di
isolare i musulmani dal contesto sociale e civile, pur lasciando la libertà di espri-mere la fede in Allah in piena libertà agli onesti credenti. È vero che non tutti gli islamici sono criminali, ma è certo che tutti i frequenta-tori di moschee e madrasse non vedono, non sentono e soprattutto non parlano.
L’omertà e la complicità fanno parte di questa religione? Se così fosse si dovreb-be riflettere un attimo, forse di più. Se invece ciò appartiene solo a frange integraliste violente si devono in esse com-prendere tutti coloro che da essi non si
dissociano con i fatti e non solo con di-chiarazioni di comodo. La decisione della Cassazione segna un importante confine: sancisce che il solo elemento di essere osservante musulmano, non è garanzia di un’evoluzione della personalità verso valori etici e socialicomuni alla società civile.
Un ulteriore elemento che accredita quanto detto è la constatazione, facil-mente controllabile, che al 60% dei figli degli algerini nati in Francia è stato imposto il nome di Osama e si ha motivo di
pensare che Bin Laden per loro rappre-senti un idolo da emulare. La religione esprime i più alti valori spirituali e non può essere utilizzata e autorizzata per coprire imprese criminali.