di SERGIO BIANCHINI – Trascurando la politica estera dove la continuità è permanente nella vita dell’Italia compresi i migranti che ne sono un aspetto, vediamo cosa sta facendo, sommessamente ma decisamente, il governo Gentiloni.
Nella foga, illusoria, di sfruttare a proprio vantaggio l’esito del referendum tutte le opposizioni si scatenano nel sostenere che Gentiloni sia la fotocopia di Renzi. Grave errore, perchè mostra la non comprensione dello scontro in atto tra il tradizionale centromeridionalismo e la tumultuosa ricerca di nuovi assetti del potere in Italia a cui Renzi ha cercato e probabilmente continuerà a cercare di dedicarsi.
La nuova ministra dell’istruzione, a capo del più folto comparto statale con circa 1 milione di dipendenti, ha immediatamente sposato le tesi sindacali e il metodo della concertazione che Renzi aveva respinto suscitando le ire dei signori della trattativa. Subito ha riprisinato l’assoluta autocollocazione degli insegnanti meridionali abolendo l’obbligo di almento tre anni di permanenza nella sede di prima titolarità.
Ma anche la sentenza che dichiara illegittimo l’obbligo del pareggio di bilancio indica la ripresa del deficit cronico ed illimitato della spesa pubblica. Deficit che negli ultimi 40 anni è stato lo strumento corruttivo e di governo del centromeridionalismo e la rovina per le imprese del nord obbligate all’infinito aumento delle tasse. L’obbligo, elementare in generale in un sistema sano ma assolutamente urgente in caso di superdeficit , del pareggio nel bilancio annuale fu sostenuto da tutte le forze politiche sotto il governo Monti, nel tentativo, fino ad ora vano, di raddrizzare la finanza pubblica.
Quindi rimettendo il sindacato in sella nella pubblica amministrazione e abolendo l’obbligo del pareggio, il governo e chi lo sostiene, riprendono in pieno la linea che, a balzi e invano, Renzi si era proposto di ribaltare. Coloro che ricevono lo stipendio da un ente pubblico sono oltre i 4 milioni, se si considera sia il personale di ruolo che quello precario, e salgono ulteriormente se si considerano le imprese semipubbliche, le famose partecipate.
Fruitore del posto pubblico è di gran lunga il centrosud che ovviamente mantiene la spinta ed il voto in quella direzione. Ma la crescita economica si è ormai bloccata e per invertire la rotta bisogna abbassare le tasse, come diceva Renzi che però non poteva farlo senza rompere col blocco sociale che lo sosteneva.
Questa è dunque la situazione di paralisi in cui siamo. Ogni tentativo di rompere il dominio dell’alleanza disastrosa del centromeridionalismo è condannato al fallimento a meno che non si profili una nuova alleanza tra i settori dinamici del centro e quelli più intelligenti del nord.
Questo scontro continuerà certamente anche dopo la non lontanissima caduta di Gentiloni.
Nel frattempo chiedo, in specifico sulla scuola : cosa intende fare il nordismo del famoso titolo quinto della costituzione NON ABOLITO?
L’Art. 117. assegna allo stato la competenza esclusiva solo relativamente alle NORME GENERALI sull’istruzione. Tutto il resto, e cioè le norme organizzative, rientra nella materia concorrente e quindi è INDISPENSABILE a termini di legge costituzionale, un accordo stato regioni.
Se le regioni volessero impugnare questa “clava ” l’amministrazione statale sulla scuola sarebbe in paralisi salvo piegarsi a compromessi che oggi non ci sono.
Ma le regioni non hanno fretta di usare le carte disponibili perchè una vera riflessione sulla scuola ancora non esiste al loro interno ed al massimo parlano di scuole materne ed asili nido.
Personalmente credo che una vera rapida e potente leva delle regioni potrebbe consistere nel pretendere il finanziamento delle scuole paritarie almeno fino a 3.500 euro annui per alunno iscritto contro gli attuali 500. Per lo stato sarebbe un risparmio visto che ne spende 7.000 ma si assisterebbe subito ad un grande fiorire delle paritarie e dell’occupazione che in esse è local e non nazional meteorica.