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Federalismo, cavarsela da soli senza essere sfruttati

FEDERALISMO

di CHIARA BATTISTONI – Qualche volta la scienza ci suggerisce alcune riflessioni che, applicate poi alla nostra vita quotidiana, promuovono interessanti riflessioni. Pensate  per esempio alla scienza delle costruzioni; ci sono strutture, definite iperstatiche, in cui i vincoli ne impediscono il moto; essi però sono sovrabbondanti, insomma ce ne sono più di quanti sia necessario. La struttura resta in equilibrio ma per calcolare le reazioni ai vincoli non bastano più le equazioni cardinali (quelle della stati-ca), ci vogliono considerazioni elastiche, che considerino dunque gli aspetti costitutivi della struttura. Se uno o più dei vincoli si rompono, la struttura iperstatica può ancora resistere, per poi crollare (quando i vincoli rotti superano il grado di iperstaticità).
E allora, direte voi? Pensiamo al mondo in cui viviamo, a quel distorto concetto di “sistema Paese” sulla bocca di tutti i politici: se non stiamo attenti, ogni volta che inseriamo un nuovo vincolo in una struttura in equilibrio, corriamo il rischio di trasformarla in iperstatica, rendendola ”labile”, portandola più o meno rapidamente al collasso. E se i vincoli di cui vi ho parlato fossero leggi, leggine e compagnia bella? Ogni nuovo vincolo sottrae gradi di libertà; certo, ho semplificato molto (e molto ci sarebbe da opinare sul piano scientifico per questa rilettura in chiave “sociologica” dei principi della statica) ma ciò che se ne ricava è l’indicazione che, né la mancanza, né la sovrabbondanza di vincoli sono salutari per le strutture.
Figuriamoci per noi!

Oggi una nevicata, per quanto fuori dalla norma, blocca tutti. C’è chi sostiene che un tempo le città si fermavano e i disagi, di conseguenza, venivano assorbiti diversa-mente. A me viene da pensa-re altro; viene da pensare che in questo Paese paralizzato dal centralismo e dalla burocrazia pletorica, le libertà si assottigliano e di fronte all’emergenza gli apparati non sanno reagire, non per incompetenza, ma per impossibilità a muoversi. Ci vogliono bandi per gli spalatori, bandi per le società che si occupano di ripulire le strade: abbiamo burocratizzato tutto, delegato a terzi la predisposizione e la gestione dei piani di emergenza, senza capire che l’operazione, a parte i costi sociali ed economici scaricati sul contribuente, ha portato con sé un effetto collaterale pericoloso: ha deresponsabilizzato il cittadino. Così, al primo disagio serio, visto che siamo contribuenti coi fiocchi, pensiamo – e in cuor nostro pretendiamo – che qualcun altro (lo Stato, la Regione, la Provincia, il Comune) si dia da fare per noi. Nelle emergenze, alziamo la testa e da cittadini-sudditi pretendiamo di essere cittadini-clienti; non abbiamo capito, invece, che l’elefantiasi della macchina statale si fa sentire sempre, emergenza compresa.
Se siamo sudditi, sudditi restiamo. Se invece vogliamo essere cittadini-clienti, liberi di scegliere, dobbiamo partire prima di tutto da noi stessi; inutile dire “pago le tasse e pretendo”; non basta. Bisogna tornare a esercitare “attiva libertà” (di cui ha tanto parlato Ralf Dahrendorf), che significa informarsi, vigilare, se possibile partecipare alla vita po-litica e sociale del Paese.
Il “governo del popolo”, la democrazia appunto, ha senso se i cittadini partecipano attivamente al dibattito; votare non è sufficiente, ci vuole partecipazione (non era Giorgio Gaber che in una sua canzone diceva «la libertà è partecipazione»?). Il che vuol dire che, se nevica prendo la pala e scendo a ripulire il marciapiede e il passo carraio e magari anche un pezzo di strada; protesterò poi, e sonoramente, col voto ma anche con gli strumenti che abbiamo oggi (il Codice dell’amministrazione digitale, entrato in vigore dal lontano 1 gennaio 2006 ha, da questo punto di vista, sancito un concetto rivoluzionario, definendo i nuovi diritti del cittadino rispetto alla Pubblica Amministrazione, tra cui il diritto all’uso delle tecnologie, all’accesso e all’invio di documenti digitali, il diritto a effettuare qualsiasi pagamento in forma digitale, dal 1 gennaio ’06 verso la Pubblica amministrazione centrale, a ricevere qualsiasi comunicazione pubblica per e-mail; alla qualità del servizio e alla misura della soddisfazione; alla partecipazione, a trovare online, entro due anni, i moduli e i formulari validi e aggiornati).

Protestiamo, facciamolo con forza, magari riprendendo un tema, la tassazione sulla casa, caro a Gianfranco Miglio, che oggi torna a essere di straordinaria attualità. Scriveva Miglio «(…) nella presunta ricchezza dei cittadini è soprattutto la casa in proprietà, e in particolare l’abitazione, che assume, agli oc-chi del Fisco, un ruolo primario. (…) Sto considerando esclusivamente gli immobili abitati (personalmente o con la famiglia) dai proprietari (non importa se prime o seconde case); e affermo che su tali beni il Fisco non deve pretendere nulla: perché essi costituiscono, per così dire, un’estensione fisica e un completamento necessario della persona che li possiede e li usa. In caso contrario, tanto varrebbe sottoporre a imposta la salute o la bellezza di un cittadino». (da Disobbedienza civile, Gianfranco Miglio, Oscar Mondadori, pag.30).

Gli eventi  dovrebbero aiutarci a capire che viviamo in un mondo sempre più labile, in cui ogni nuova norma che dovrebbe portare ordine e sicurezza, si trasforma in un boomerang quando il sistema entra in crisi e c’è assoluto bisogno di reagire con tempestività. Una via d’uscita c’è e non è quella proposta dai tanti (troppi) stata-listi di questo Paese: non servono nuove leggi, non servono più leggi, servono piuttosto meno leggi; è la famosa semplificazione burocratica che peraltro fa fiorire i suoi frutti in molti altri Paesi europei.

Meno leggi, più responsabilità del singolo, il che significa anche minor pressione fiscale. Più responsabilità… sappiamo davvero cosa vuol dire? Sap-piamo che ogni volta che chiediamo di decidere in prima persona ci facciamo carico delle conseguenze delle nostre scelte? Sappiamo che essere più respon-sabili significa maturare una cultura della consapevolezza e della libertà che può anche renderci soli davanti alle
scelte più delicate? Sappiamo che per essere davvero liberi dobbiamo accetta-re il confronto con le specificità?
La libertà è prima di tutto una vocazione alla responsabilità, al coraggio, all’audacia, che nei casi estremi (e il mondo infiammato di questi giorni ce lo dimostra) può trasformarsi in martirio.

Perciò, se non vogliamo vivere da sudditi diamoci da fare; educhiamo e pratichiamo la Libertà, quella con la ”L” maiuscola di cui ci parlava con passione e vigore, per anni, Papa Ratzinger.
Il delirio solipsista delle dittature ha stravolto un intero continente, ne ha annichilito i popoli, ha alimentato i genocidi e alla fine ha portato al collasso di un intero sistema economico, miseramente fallito sotto il peso di un’uguaglianza insostenibile e contro natura. L’uguaglianza dei risultati è storicamente fallita a fine Novecento e lo ha fatto lasciando dietro di sé il nulla, il vuoto su cui è stato necessario ricostruire tutto, a partire dall’Uomo ridotto a ingranaggio senza dignità di scelta.

Eppure, Italia compresa, c’è chi ancora non se ne è reso conto. Cerchiamo di ricordarlo quando ascoltiamo “predicare” i nostri politici; non lasciamoci irretire da colori e slogan di appartenenza, puntiamo dritto al cuore del messaggio, cerchiamo di capire qual è il modello di Paese che hanno in testa e confrontiamolo con quello che noi desideriamo; insomma, costruiamo attivamente il nostro pensare e agire politico, senza lasciarci travolgere dall’impeto delle emozioni e dell’estemporaneità. Se per voi ciò che conta è l’uguaglianza delle opportunità, quella che permette di costruire sulla base del proprio impegno, delle proprie capacità, in poche parole del proprio merito, allora non vi sarà difficile capire che il Federalismo è la strada più attuale per realizzare tutto questo. Altro che perequazione, altro che sussidiarietà coatta (che diventa sterile assistenzialismo); il Federalismo, quello competitivo, è oggi uno dei pochi strumenti ancora a disposizione di questo Paese per liberarsi dal giogo dell’elefantiasi burocratica e corporativistica.

A tutti i medesimi strumenti di crescita, per essere poi valutati (e scelti) in base ai risultati raggiunti, necessariamente diversi, perché diverse sono le specificità, le attitudini, le capacità. Solo così si può dare inizio a un virtuoso cammino di innovazione e crescita; la ricetta è rispettare le specificità e fare in modo che le eccellenze emergano dal mercato: una rivoluzione per uomini audaci che hanno capito che il futuro, come ci ha ricordato Kenichi Ohmae in Il prossimo scenario globale, è negli Stati-Regione, non più negli Stati-Nazione. Ricordatevi dunque il principio dell’uguaglianza liberale, così come quello dell’uguaglianza socialista: opportunità versus risultati; vedrete che vi sarà molto più facile capire l’essenza profondamente liberista del Federalismo e magari spiegarla a chi, più scettico, presta orecchio alle cassandre sinistrorse che paventano povertà e miseria
Il tema dell’uguaglianza nelle opportunità evoca la libertà nelle opportunità e nelle procedure, ampiamente studiato dal premio Nobel per l’economia (nel 1998) Amartya Sen. Per Amartya Sen, «l’idea di libertà investe sia quei processi che permettono azioni e decisioni libere, sia le possibilità effettive che gli esseri umani hanno in condizioni perso-nali e sociali date. L’illibertà può deriva-re sia da processi inadeguati (come la negazione del diritto di voto o di altri diritti politici o civili) sia dal fatto che ad alcuni non sono date adeguate possibilità di soddisfare desideri anche minimali (il che comprende la mancanza di possibilità elementari. come quella di sfuggire a una morte prematura, a malattie evitabili o alla fame involontaria)». (da Lo sviluppo è libertàdi Amartya Sen, Oscar Saggi Mondadori, pag. 23)
Sen osserva come sia l’aspetto processuale che quello procedurale siano fondamentali per lo sviluppo come libertà; non basta la correttezza delle procedure così come non basta l’esistenza delle
adeguate possibilità per crescere nella libertà. L’individuo è il “centro d’azione”, per il quale disporre di libertà significa essere stimolati a cavarsela da soli, influendo sul contesto, promuovendone di fatto lo sviluppo.

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