di ANDREA CARUGATI – «L’idea federalista e indipendentista è più attuale oggi di vent’anni fa. Molti militanti hanno paura che la Lega smetta di essere la Lega, che perda le sue radici. Per questo ho deciso di candidarmi come segretario». Gianni Fava, 49 anni, assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia, è nel Carroccio dai primi anni Novanta, come Salvini. E ora ha deciso di sfidarlo.
Una sfida in salita, contro un leader molto popolare.
«Sono realista, e vedo la disparità delle forze in campo. Ma noi siamo nati come un movimento post-ideologico, né di destra né di sinistra, che difende gli interessi del Nord. Un progetto nazionalista e lepenista non mi appassiona, e così tanti militanti a cui voglio dare voce. Dopo la crisi economica, l’insofferenza verso Roma e il centralismo è ancora più forte. Non solo tra i nostri militanti ma nel popolo che rappresentiamo, gli artigiani, le partite Iva».
Salvini ha preso un partito in agonia e l’ha portato sopra il 10%. Difficile scalzarlo.
«Per ora si tratta di sondaggi. Non nego i risultati che ha raggiunto, ma ora è giusto misurarsi in un congresso, discutere su dove vogliamo portare la Lega. Voglio un congresso vero, con un solo candidato sarebbe stato di plastica e senza contenuti. La svolta lepenista è un dato di fatto, noi vogliamo fermarla. Il Front National è uno dei blocchi più centralisti e conservatori d’Europa, cosa c’entra con noi? Non siamo mai stati di estrema destra. I dirigenti del Fn hanno quasi tutti il doppio cognome, noi siamo il partito degli straccioni. Ricordo un vecchio artigiano che mi disse: ‘Sbrighiamoci a fare la Padania, che io voglio tornare a votare a sinistra’. Questa era la Lega e lo deve essere ancora».
Lei è stato tra i colonnelli di Maroni che lo aiutò a detronizzare Bossi. Ora potrebbe ritrovarsi sulla barricata proprio con il Senatur?
«Con Bossi non ho parlato, ma la sua mi sembra una battaglia personale contro Salvini, la mia no. Io non cerco strappi. Anzi, Matteo dovrebbe ringraziarmi perché con la mia battaglia cerco di tenere dentro molti militanti che sono pronti ad andarsene».