Evitiamo la recessione dell’anima…

scuoladi SERGIO BIANCHINI –  Il prete è giovane, avrà meno di 30 anni. Ascolto attentamente la sua predica dopo la consueta lettura di tre brani, un episodio della bibbia, un pezzo di lettera di S.Paolo e un pezzo del vangelo di Marco.

Il prete declina le tre letture e dice che dobbiamo accettare le difficoltà.

Si, le difficoltà ci parlano dei nostri limiti, limiti che noi dobbiamo accettare. Ci sono cose che non possiamo cambiare, la nostra natura, la nostra famiglia. Dobbiamo accettare i nostri limiti, fiduciosi che Dio ci ama per come siamo. Ma fiduciosi anche che Dio ci aiuterà a risolvere i problemi che incontreremo. Se avremo fede in lui ci darà la forza per superare i problemi.

Per esemplificare quelli che non accettano i propri limiti racconta di mamme che vogliono per forza iscrivere i figli al liceo classico. Ho conosciuto personalmente una madre che ha rovinato il figlio, se stessa e tutta la famiglia per l’ostinazione a far fare al figlio il liceo classico sottoponendolo a continue frustrazioni e sensi di colpa sia esterne (a scuola) che familiari(a casa).

La tensione ha portato il ragazzo sull’orlo del suicidio e alla droga. Vicende proseguite con la totale deflagrazione della famiglia.

Il prete accenna poi alla sua storia personale dove, avendo frequentato una scuola professionale, ha poi deciso, riuscendoci, di fare il prete. Si, anch’ io ho sempre detto a mia figlia di non fare l’università per far contento me ma solo se lo sentiva. Lei ha cominciato ma dopo 3 anni ha smesso ed ha trovato un ottimo lavoro dove si trova benissimo. Non è al top della felicità ma sta molto meglio di tanti altri che hanno studiato fino a 25 -30 anni e non hanno ancora sbocchi sicuri.

Allora chiamo mia figlia e le racconto la predica, l’esortazione al coraggio, all’accettazione di sè e del mondo, alla fede nel superamento degli ostacoli che via via si presentano.

E’ una summa di sapienza esistenziale dico, una cosa che si è formata nei millenni e che anche i genitori tramandano ai figli. Senza queste esortazioni sarebbe facilissimo cadere nella tristezza e nella cattiveria.

Ma, mi chiedo e le chiedo, se non ci fosse la chiesa a tramandare questa sapienza esistenziale, agganciata alle vicende bibliche e al cristianesimo, l’umanità non si spappolerebbe?

Vicino a me, nel fondo della chiesa, ci sono due ragazzi sui 30 anni, hanno la faccia dei ragazzi con problemi di ritardo evolutivo che a scuola ho conosciuto bene. Ma sono tranquilli, con le vesti curate che dimostrano la costante attenzione della famiglia. Li guardo traendo conclusioni sulla potenza millimetrica della grande millenaria cultura esistenziale che spinge ad accettare attivamente e dignitosamente la realtà senza cadere nella tristezza.

La prima lettura parla dell’attraversamento del fiume Giordano, dopo i 40 anni nel deserto, delle tribù ebraiche fuggite dall’Egitto.

I primi a passare sono i preti, che hanno sulle spalle l’arca dell’alleanza. Alleanza con Dio, con l’onnipotenza. Una volontà incrollabile che sacrifica tutto al raggiungimento della terra promessa. E i preti sono i primi ad entrare nell’acqua con l’arca e allora il fiume si ferma, così il popolo passa all’asciutto.

Ecco, i sacerdoti, la chiesa, sono i custodi della fiducia e della volontà incrollabile di cui il popolo ebraico ha bisogno per progredire verso la terra promessa, verso una vita migliore.

E’ ancora così? Abbiamo ancora bisogno di una chiesa che ci agganci, che agganci tutto il popolo, all’onnipotenza incrollabile di una volontà e di un disegno “divini”?

Provo a pensare alla scomparsa della chiesa cattolica in Italia. Cosa succederebbe?

Se ogni settimana, ogni giorno, dovunque, cessassero gli insegnamenti, le esortazioni, le azioni di sostegno alla vita spirituale, psicologica concreta del popolo cosa succederebbe? Rimarrebbe in piedi la nostra cultura e il nostro modo abbastanza tranquillo e operoso di vivere?

Lo stato sarebbe in grado di assolvere tutte le funzioni a cui la chiesa si dedica oggi costantemente?

 

Chissà, mi dico, certo che fra qualche centinaio di anni sarà tutto chiaro. E così, appagato, vado con l’Agostino al bar e chiacchierando ci prendiamo il solito caffè.

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