di MONICA RIZZI – Si fa presto a dare la colpa all’euro di tutti i nostri mali. L’Italia è il solo paese in Europa a non aver avuto benefici ma, anzi, ad aver perso potere d’acquisto. Se il problema fosse spalmato su tutti, allora sarebbe facile e consolatorio indicare nella moneta unica il male di tutti, il male assoluto. Invece non è così, con buona pace dei populisti. Solo l’Italia si è impoverita. Evidentemente c’è qualcosa di avariato nel sistema.
La Spagna ha avuto un impatto forte sull’inflazione, ma poi il potere d’acquisto degli spagnoli è salito… Lo dimostra la retrospettiva scattata dal Sole 24 Ore del Lunedì con l’aiuto di Ref Ricerche in occasione del ventesimo anniversario della moneta unica (https://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2018-12-22/euro-l-italia-perde-potere-d-acquisto-ma-non-e-colpa-moneta-unica).
Tutto ha avuto inizio, ricordiamolo, il 1° gennaio 1999, con il debutto dell’euro come valuta virtuale, nel 2002 abbiamo iniziato a pagare in euro, ed eravamo in compagnia di 11 paesi, poi altri 8 si sono aggiunti in seguito.
“Se si confrontano i tassi di inflazione medi nel periodo prima e dopo il “changeover”, la temuta fiammata non si è verificata. «Già nei tre anni precedenti al 1999 – fa notare Fedele De Novellis, responsabile della congiuntura di Ref Ricerche – il costo della vita era stato forzato verso il basso dalle aspettative di ingresso nella moneta unica e nel medio periodo l’inflazione si è situata intorno all’obiettivo del 2% fissato dalla Bce, con un livello molto basso negli ultimi anni». Restringendo il focus sui capitoli di spesa, in vent’anni l’area ha registrato un aumento cumulato dei prezzi del 40,8% (l’1,7% in media all’anno), con un impatto diverso a seconda dei Paesi e delle voci. In Italia il divario è stato di 10 punti rispetto a Francia e Germania: +44% (in linea con la media dell’Eurozona) contro rispettivamente +33,5 e +35,6 per cento. Questo significa un rialzo medio annuo dell’1,8% rispetto all’1,5% a Berlino e a Parigi”.
Si legge: «A fronte di un evento comune a tutta l’area – spiega De Novellis – il problema appare, dunque, tutto italiano. L’euro poteva essere l’occasione per rilanciare l’economia, ma così non è stato. A pesare è stato un mix di fattori: la bassa crescita del Pil, la stagnazione della produttività e l’abbandono della politica industriale. Poi è subentrata la crisi. In Italia la politica fiscale è diventata restrittiva, mentre la Spagna è riuscita a evitare un rientro brusco del deficit, ha avuto più risorse per combattere gli effetti della recessione sui bilanci familiari e non ha dovuto aumentare la pressione fiscale sulle famiglie».
Siamo rimasti fermi a Garibaldi ferito ad una gamba. L’inadeguatezza della classe politica, il vuoto spinto di interventi nella scuola, nell’università, nella ricerca, la voglia insomma di crescere anziché di rubare, è tipicamente italico. Altro che NO EURO. No Italia, è l’alternativa. Una macroregione del Nord la via per tornare a competere.