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Espulsi, sospesi, indagati. Lega, tra nemici politici e trappoloni

senato_lega_norddi STEFANIA PIAZZO –  La politica spesso non chiede sconti. Procede secondo una logica che viene dalla notte dei tempi, e cioè i nemici politici vanno eliminati, elegantemente si dice espulsi. Per altri occorre invece attendere il tempo del giudizio terreno, cioè i processi. Ma anche qui, a volte le regole si applicano con discrezionalità. Poi c’è il capitolo dei “complotti”, dei bocconi avvelenati, ma per quelli ci vuole un po’ di tempo per capire, terminato il clamore dei media.

La Lega per i politologi è un boccone ghiotto, pieno di casi.

Ripassiamo qualche nome. La vicenda di Rosi Mauro, ad esempio. “Rosi, puttana, l’hai fatto per la grana”, cantava l’allegra brigata in pizzeria. L’allora vicepresidente del Senato non si volle fare da parte, fu espulsa. Non venne mai condannata. Nessun processo giudiziario, il suo fu un processo politico. Fu cacciata preventivamente. Dal palco di Bergamo Maroni avvertì: se non si dimette, la dimetterà la Lega. Così fu. Perché in una guerra politica non si fanno prigionieri.

Andiamo avanti. Non diversamente andò in Veneto. Si fa prima a fare la sintesi in commissariamenti ed espulsioni ricordando la gestione di Flavio Tosi. O con me o contro di me. Poi fu la volta dello stesso Tosi, fatto fuori, così si dice, nella corsa per la leadership del centrodestra.

Forse è lui il caso più eclatante, che supera ogni immaginazione. Prima Maroni lo fece diventare candidato premier, in accordo con Salvini: Matteo segretario, Flavio candidato del centrodestra. Questo era il ticket. Poi, fermi tutti, retromarcia di Salvini, scaricamento di Maroni dopo che Flavio al Palabam a Mantova aveva avuto il viatico a distanza dell’allora segretario Bobo per la sua fondazione, per andare a prendere i voti anche dei non leghisti. Alla fine sappiamo come andò  a finire: la fondazione diventò indigesta, o la lasci o sei fuori dalla Lega. E un Tosi sconcertato, da prodigio a traditore, venne messo fuori dalla porta.

Insomma, a dirla tutta, il caso Tosi è forse quello che stride di più. Perché era uno di loro, e loro, l’hanno cacciato.

Poi venne la volta di Marco Reguzzoni. Messo da parte perché ritenuto dal nuovo corso maroniano troppo berlusconiano. Poi, dopo la sua iniziativa, nel giugno scorso, dei “Repubblicani”, una sorta di convention del centrodestra, partì dalla segreteria provinciale di Varese la richiesta della sua espulsione, cui non è mai stato dato seguito, tanto che Reguzzoni, ad oggi, è ancora militante della Lega. E giusto l’altro giorno Reguzzoni sulla Provincia di Varese dichiarava: “La mia espulsione dalla Lega? L’aveva chiesta Fabio Rizzi. L’hanno archiviata lunedì”. 
Spedito fu l’iter lombardo quando alla vigilia del voto regionale Marco Desiderati, ex deputato,  ebbe l’impertinenza di postare su facebook che sarebbe stato meglio non ricandidare gli indagati, e chiedere a quelli che erano parlamentari di lungo corso di farsi magari da parte. Desiderati venne espulso. Fu lesa maestà? Sul nemico (politico?)  parte la ghigliottina del regolamento. Dei conti.

Il pallottoliere delle espulsioni o delle sospensioni si ferma invece per altri casi.

Da Andrea Gibelli, maroniano, già Segretario generale del Pirellone, ora capo a Trenord, indagato per concorso in turbata libertà di scelta del contraente nell’inchiesta che coinvolge lo stesso Maroni, accusato di aver favorito l’assunzione della sua collaboratrice Mara Carluccio nell’ente di ricerca regionale Eupolis. Per passare a Massimo Garavaglia, maroniano, assessore al Bilancio sul quale grava l’ipotesi di reato di turbativa d’asta. Tutti innocenti, i gradi di giudizio sono tre. Ma nessuna espulsione e neppure nessuna sospensione.

Nella barca delle accuse c’è anche Fabrizio Cecchetti, vicepresidente del Consiglio regionale, rinviato a giudizio per peculato. Stessa sorte per il capogruppo in Regione, Massimiliano Romeo, accusato di “spese pazze”, con un altro consigliere, Angelo Ciocca. Tutti operativi.

Come Gianluca Pini, brillante maroniano, accusato di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice. Per l’accusa avrebbe distratto dei soldi o dei beni da una società edile-immobiliare. Innocente fino a prova contraria, al suo posto nel partito.

Altro capitolo da “dossieraggi” è quello di Monica Rizzi. Ex assessore allo sport in Regione Lombardia, costretta  alla dimissioni perché  accusata di essere l’autrice di una serie di dossier costruiti ad arte per facilitare l’elezione di Renzo Bossi, il “Trota”, al Pirellone nel 2010. Le accuse vennero poi archiviate dal procuratore Fabio Salomone. Era un dossier falso. Così come fu prosciolta  in merito alla vicenda della presentazione del falso curriculum presentato per un incarico in provincia.

 

Ci siamo chiesti su queste colonne, quanto la vicenda sanitaria di Fabio Rizzi, militane sospeso dopo la grana sanità, possa cambiare gli equilibri di potere all’interno della Lega, quanto indebolire o rafforzarne i vertici. Maroni, che non ha più intorno il sistema Canegrati, è più libero. Ma c’è anche chi pensa l’esatto contrario e cioè che finalmente tocchi a Salvini poter dire qualcosa sulla Regione, come non aveva fatto prima.

Grimoldi, è segretario lumbard. Giorgetti docet. Ed era la candidatura che si opponeva a quella del salviniano Massimiliano Romeo. Ma fu Grimoldi a raccogliere firme e consensi e diventare segretario, scegliendo come suo vice Fabio Rizzi. Giorgetti incassava il successo.

In Regione arriva il momento di un rimpasto. Salvini sponsorizza Ciocca, in opposizione a Gianni Fava. Giorgetti ridocet. Ma Salvini anche questa volta non riesce a toccar palla. La vicenda Rizzi servirà a riportare equilibrio nei poteri interni alla Lega? Gibelli, maroniano, è indagato. Il nome del vicesindaco di Castellanza, giorgettiano, è tirato per la giacca dalle notizie sull’inchiesta sanitaria.
Insomma, tutti i castelli di potere non sono più intatti come prima. Quale sarà il primo a venir giù?

Si osservava tempo fa su queste colonne…. E Bossi? “Nella Pontida del 2013, dal palco del pratone, il vecchio Capo non mosse un dito e nei giorni successivi, il consiglio federale ebbe carta bianca per eliminare gli avversari politici. L’11 aprile infatti arrivarono puntuali le proposte di espulsione per i bossiani tra cui Marco Reguzzoni, Desiderati e Torazzi.  Maroni disse: “Per chi è stato espulso fino al 30 giugno le regole sono quelle del vecchio statuto” e dunque chi non aveva fatto ricorso ai probiviri non poteva appellarsi alla nuova commissione presieduta da Umberto Bossi”. Come nelle finestre per andare in pensione, fino a.. e non oltre… Altrimenti diventavi un esodato politico.

“Per una guerra cinica di potere, due schieramenti opposti sono stati mandati allo scontro. Per vedere chi prevalesse. Ma la rivoluzione il Nord, alla fine, l’ha persa giocando in casa”. Basta questo per chiudere il cerchio, solo lotte di potere, oppure quello di Rizzi, dopo la notte delle scope, è il secondo trappolone che rifilano alla Lega? In altre parole, quanto pesa ancora in Italia la politica dei servizi, dei dossier?

 

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