di CHIARA BATTISTONI – La campagna elettorale è in dirittura d’arrivo; anche questa volta in gioco c’è il nostro futuro di liberi cittadini. Frastornati dai messaggi, sempre troppi, lanciati dall’uno e dall’altro schieramento, disorientati da decine e decine di pagine di programmi elettorali che solo in pochi volonterosi leggono, ci troviamo a decidere degli anni che verranno, con la sensazione che la scelta questa volta sia più delicata, più difficile del consueto. In ballo ci sono due visioni radicalmente diverse del nostro futuro, non dissimili da quelle che siprospettavano negli anni Settanta quando il Partito Comunista si attendeva il grande sorpasso. Da una parte un Paese alla ricerca di uno Stato leggero, orientato al mercato ma ancora a metà del guado, in attesa che le riforme avviate in questi anni possano por-tare i risultati attesi; dall’altra un Paese sempre più concentrato sullo Stato, nelle cui mani si vuole mettere il proprio futuro, delegando a esso le scelte importanti della vita, uno Stato che, per quanto verniciato di riformismo, resta il riferimento ultimo di ogni scelta individuale.
A confronto non ci sono solo due programmi, ci sono prima di tutto due diverse filosofie di vita, due modi diversi di concepire l’Uomo: da una parte l’Uomo Persona, prima di tutto individuo (con le proprie specificità) chiama-to a scegliere e lavorare nella comunità; dal-l’altra l’Uomo Ingranaggio, elemento indi-stinto della società che ha valore e autonomia solo in funzione della comunità. Nel primo caso lo Stato è leggero, per lasciare all’Uomo Persona tutta la libertà necessaria per esprimere e realizzare le proprie potenzialità; nel secondo caso lo Stato è pesante, perché da esso dipendono anche le scelte individuali.
Certo, ci sono mille motivi da una parte e dell’altra per sostenere le proprie ragioni, mille motivi per criticare ciò che è stato fatto negli ultimi dieci (legislatu-ra di sinistra, per intenderci) e cinque anni (legislatura di destra). Ciò invece
che sfugge completamente alla concita-ta cronaca pre-elettorale di questi giorni è che cambiare il Paese è un processo ben più lungo di quanto la memoria del citta-dino sia disposta ad accettare. Se avessimo la pazienza di osservare con occhio disin-cantato ciò che accade nel nostro Paese mettendolo in relazione a ciò che accade in Europa e poi nel mondo (passando così dalla micro visione alla macro visione) for-se troveremmo il bandolo della matassa, capiremmo che stiamo cercando di costrui-re il nostro futuro servendoci di stereotipi e paradigmi superati, utilizzando categorie di pensiero desuete.
D’altro canto non si improvvisa una nuova cultura dall’oggi al domani; ci vogliono gene-razioni; ma il mondo di oggi richiede tempi di reazione ben più rapidi; il mondo ci chiede agilità di azione e di pensiero e allora abbiamo bisogno di una classe politica adeguata che sappia vedere prima di noi gli scenari di cambiamento. Per questo dobbiamo votare, ricordando che in ballo c’è, ancora una volta, la nostra libertà, ricordando che il Paese non può cambiare con agilità (come sanno fare
tanti altri Paesi) senza uno Stato sempre più leggero e un cittadino non più suddito ma Uomo Persona, più consapevole, più audace, entusiasta della vita e aperto al futuro.
Per chi è troppo giovane e per chi invece si è scordato gli anni Settanta giova allora ricor-dare che ancora una volta scegliamo per essere liberi, per difendere la libertà conquistata; vale per l’Italia ma vale anche per l’Europa. Per scegliere abbiamo bisogno di conoscere il passato; dobbiamo «rendere vigile e non appiattita la memoria storica dei giovani. Bisogna essere fieri delle proprie tradizioni e smettere di guardare il futuro rinnegando il passato. I grandi capisaldi della civiltà europea possono aiutarci a sentire di più l’Europa come una patria. Il metodo di lavoro è la conoscenza del passato e la consapevolezza delle diversità nazionali. Se ci si sforza di individuare i tratti della coscienza di una comune identità europea si approda ad alcuni capisaldi specifici: una sintesi equilibrata di democrazia, mercato e storia; la concezione della persona come fon-te di creatività; la cultura della vita; l’espan-sione della libertà-responsabilità; i diritti del-la persona vengono prima di quelli dellodi sé; il valore della solidarietà concreta e operativa». (da Il cuore di tenebra del XXI secolo, Gianstefano Frigerio, Edizioni Bietti, 2006, pag. 83). Quei capisaldi che valgono per il comune sentire europeo valgono ancora più per il nostro comune sentire locale, sia esso regionale o nazionale. Andiamo a vota-re, dunque, ricordando che la scelta a cui siamo chiamati va ben oltre l’orizzonte locale, destinata com’è a proiettarsi nel più ampio contesto mondiale di cui tutti noi siamo artefici, un orizzonte globalizzato dai confini sempre più labili.
Andiamo a votare ricordando che la scala temporale a cui la politica ci ha abituato non è adatta a misurare i cambiamenti complessi di un Paese; il mondo cambia più rapidamente di quanto l’apparato burocratico – politico sappia fare, di quanto possa fare la cultura delle genti. Infine, andiamo a votare pensando non solo a ciò che ha fatto il governo in carica ma anche a ciò che ha fatto (e non ha fatto) l’opposizione, ricordando, per chi se lo fosse dimenticato, che una delle idee centrali su cui si costruisce la democrazia (il governo del popolo) è «l’idea di un’opposizione leale che impone alle forze rivali di cooperare nel sostegno verso il progresso, quale che sia il partito al potere. Collegata con questa è l’idea del compro-messo, che comporta fedeltà a un principio, ma riconosce che non si può avere tutto esubito e che il meglio è spesso nemico del bene. In qualunque negoziazione, per dare almeno la possibilità di un piccolo progres-so per tutti, tutte le parti devono guadagna-re e perdere qualcosa. A queste idee si lega la capacità di costruire coalizioni, cioè il talento di formare maggioranze fuori dai piccoli gruppi che cambiano costantemen-te. Alcune coalizioni vengono formate ad hoc, caso per caso, mentre altre vengono formate per scopi strategici di lungo termi-ne» (da Noi, voi e l’Islamdi Michael Novak, Liberal Edizioni 2005, pagg. 243-244).