Elezione diretta del Presidente della Repubblica e Federalismo. Occasione per l’autonomia

 

di Raffaele Piccoli – La conferma di Mattarella al colle ha dato in questi giorni uno rappresentazione della politica italiana a dir poco indecorosa, sorvoliamo sulla disfatta del Centro destra incapace, pur in presenza di una maggioranza parlamentare relativa, di presentarsi unito per far valere la forza dei numeri, sorvoliamo sul comportamento quanto meno discutibile di Forza Italia e dei centristi, in grado di impallinare anche la Casellati autorevole membro del partito azzurro, infine stendiamo un velo pietoso su Salvini, che avrebbe dovuto essere il portavoce dell’intero schieramento, in grado di imporre quantomeno dei nomi al di sopra delle parti, cosa che gli è completamente sfuggita.

E allora ecco di nuovo Mattarella ripescato all’ultimo momento dal cappello a cilindro, e obbligato ad accettare un secondo mandato, per la seconda volta in dieci anni il sistema si incarta su se stesso e non riesce a far funzionare le istituzioni.
In queste ore oltre alla resa dei conti in particolare nel Centro destra, e forse con qualche scossone nel governo (leggi Giorgetti) da molte parti si sente parlare di riforme, ma di quali riforme? Alcuni sembrano convinti che la strada maestra debba essere quella dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, cosa che toglierebbe ai grandi elettori l’impiccio di dover fare una scelta che per ben due volte in poco tempo si è dimostrata di difficile attuazione.

Ma il problema è ben più complesso del solo miglioramento della compagine elettiva del Presidente (teniamo solo presente che il piccolo Molise esprime tre grandi elettori, come la Lombardia!), il problema vero sta nel fatto che se si elegge direttamente il Capo dello Stato, si deve rivedere tutto il gioco dei pesi e contrappesi pensati dai costituenti allo scopo di evitare un eccessivo accentramento di poteri al Presidente.

E qui entra in gioco il punto che a mio avviso, interessa maggiormente il mondo dell’autonomismo. Se arriviamo ad eleggere direttamente il Presidente della Repubblica, questo non sarà più solo il notaio della Costituzione ma diverrà nella sostanza il vero Capo dell’Esecutivo, in quanto depositario del mandato popolare, pertanto la distribuzione dei poteri dovrà modificarsi a fondo, non sarà più accettabile il ruolo residuo e marginale lasciato oggi alle regioni ancora prive di autonomia fiscale e di reale potere legislativo, in sostanza enti di second’ordine a rimorchio del potere centralista.

Qui però entrano in gioco anche altri fattori, in primo luogo l’enorme disparità tra regioni e regioni, non è tollerabile ad esempio l’esistenza di realtà oggi privilegiate in nome di una specialità territoriale non più giustificabile, piuttosto che regioni che per popolazione e prodotto interno lordo non siano più o meno allineate con le restanti. A questo punto le macroregioni, diventano una necessità indilazionabile. Il centro Italia sembra si stia muovendo in questo senso, Toscana Marche e Umbria pensano ad accordi, il Sud con l’ex governatore Caldoro aveva proposto la Macroregione Mediterranea, solo a parole certo, ma intanto l’idea era partita. E il Nord? Silenzio assoluto! Il Nord, la mitica Padania, ha bisogno di ritrovare se stesso, ha bisogno di identificarsi di tornare a sperare e a credere.

Il tradimento di Salvini, sta dimostrando tutti i limiti di una linea politica opportunista e confusionaria, e viene da chiedersi: la Lega tiene ancora il Nord?
Credo che la maggioranza tenterà dopo quanto è accaduto con il flop della rielezione di Mattarella di limitarsi a provare di modificare la legge elettorale in senso proporzionale, lasciando al prossimo parlamento il compito di fare qualche modifica costituzionale compresa l’elezione diretta, se cosi sarà il mondo autonomista dovrà essere molto attento a non farsi scippare una possibilità, forse l’ultima di modificare l’assetto delle realtà regionali che oggi hanno urgente necessità di maggiore autonomia finanziaria decisionale e legislativa.

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