di ANGELO VALENTINO – C’è una emergenza di cui la stampa non parla. Sembra che tutto sia cristallizzato attorno alla questione migratoria, al Pil, al debito e all’Europa brutta e cattiva.
Con superficialità, ci si dimentica che una questione aperta e irrisolta sta covando sotto le braci ed è la questione sanità.
Mentre tutti erano ancora a correre dietro alle polemiche sul 25 aprile e il 1° maggio, il quotidianosanita.it scrive a tutto campo:
“Mentre Governo e Regioni bruciavano 4 mesi per annusarsi a vicenda oltrepassando abbondantemente la scadenza del 31 marzo per la stipula del Patto per la salute, gli scenari politici, economici e tecnici sono mutati, rendendo la strada per la stipula del Patto sempre più in salita e lastricata di ostacoli”.
Sono curioso, vado ad approfondire. E cosa scopro? “Dalle recenti analisi indipendenti dell’Osservatorio GIMBE sul DEF 2019 sono emerse forti preoccupazioni per la sanità pubblica sia perché la crescita economica del Paese è stata drammaticamente ridimensionata, rendendo poco realistici gli aumenti previsti dalla Legge di Bilancio per il 2020-2021, sia perché il rapporto spesa sanitaria/PIL rimane stabile sino al 2020 per poi ridursi dal 2021”.
Non solo c’è lo spettro dunque dell’Iva, ma c’è dell’altro e questo “altro” è anche peggio. Drastico taglio alle prestazioni sanitarie. Il che vuol dire che le Regioni virtuose del Nord, con i conti in regola, devono pagare ancora per gli altri. E le regioni del Sud commissariate da una vita per la sanità, taglieranno ancora offrendo servizi ancora più ridotti.
E leggo quanto scrive uno che ne capisce più di me. Nino Cartabellotta Presidente Fondazione Gimbe. “Se da un lato tali preoccupazioni vengono confermate dalle audizioni dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio e della Corte dei Conti, dall’altro stupisce la sbrigativa superficialità con cui le risoluzioni di Camera e Senato sul DEF 2019 ignorano la polveriera sanità.
Quando si tratta di andare a vedere cosa dice il grillo parlante, si vanno a leggere sempre i report dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Lì c’è la “conferma che esistono pochi margini per una spending review e che “ulteriori tagli alla spesa sanitaria rischierebbero di incidere sulla qualità dei servizi offerti oppure sul perimetro dell’intervento pubblico in questo settore”.
La Corte dei Conti, sottolineando che “al termine del 2018 […] non risultano sottoscritti gli accordi relativi alle aree della dirigenza sanitaria” rileva preoccupazioni per “la forte riduzione di personale, anche in relazione al tempo occorrente per l’assunzione di nuovo personale, con particolare riferimento a settori come la sanità […] in cui la diminuzione degli addetti rischia di incidere sull’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni e sulla qualità dei servizi”. Si legge ancora…. che
“A fronte di queste preoccupazioni per la tenuta della sanità pubblica, le speculari risoluzioni di Camera e Senato si limitano ad impegnare il Governo “a procedere dal 2019 ad un piano di assunzioni che argini il fenomeno della ‘fuga dei cervelli’ e supporti la promozione di innovazione e ricerca in campo sanitario, valorizzando la funzione dei centri sanitari di nuova generazione e investendo in politiche di formazione ed inserimento lavorativo delle nuove professionalità, ad aggiornare a livello regionale il parametro di riferimento della spesa per il personale degli enti del SSN”.
Soluzioni? Leggo ancora:
“Il DEF 2019 indica il nuovo Patto per la Salute come strumento di governance per ottimizzare la spesa pubblica, ma in realtà il Patto condiziona anche le risorse per la sanità, come previsto dalla Legge di Bilancio 2019.
Infatti, oltre al miliardo stanziato per il 2019, le risorse aggiuntive previste per il biennio 2020-2021 (+€ 2 miliardi nel 2020 e +€ 1,5 miliardi nel 2021) sono condizionate dalla stipula di un’intesa Stato-Regioni di un nuovo Patto per la Salute contenente “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi”.
La scadenza per la sottoscrizione del Patto era fissata al 31 marzo, ma visto che il suo mancato rispetto non avrebbe avuto conseguenze le motivazioni del ritardo inizialmente sono imputabili al dilatarsi della “fase esplorativa”.
Guardate ora il dettaglio:
13 febbraio. Le Regioni elaborano un documento fissando alcuni “paletti” per un primo confronto politico con la Ministra Grillo, assente alla riunione perché ritenuta meramente tecnica.
27 febbraio. Nel primo incontro ufficiale riprende il dialogo politico ma il Ministero prende tempo sui “paletti” proposti dalle Regioni per definire la cornice politico istituzionale.
14 marzo. La Ministra Grillo invia al presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini una contro-proposta, bocciata senza appello dalle Regioni perché giudicata “invasiva”.
16 aprile. Nel secondo incontro ufficiale Governo e Regioni accantonano la cornice politico-istituzionale e danno il via libera ai tavoli tecnici: piani di rientro e commissariamenti, formazione e personale, governance del farmaco, investimenti in edilizia e tecnologie.
Commenta così Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe: “Mentre Governo e Regioni bruciavano 4 mesi per annusarsi a vicenda gli scenari politici, economici e tecnici tuttavia sono mutati, rendendo la strada per la stipula del Patto per la Salute sempre più in salita e lastricata di ostacoli.
Il DEF 2019 ha certificato che gli aumenti del fabbisogno sanitario nazionale 2020-2021 sono utopistici, considerate le previsioni di aumento del PIL cui sono legati.
Inoltre, nonostante il DEF annunci solo “un paziente lavoro di revisione della spesa corrente che porterà a un primo pacchetto di misure nella legge di bilancio per il 2020”, con la clausola di salvaguardia il blocco di 2 miliardi di euro di spesa pubblica nel 2020 finirà inevitabilmente per aggredire la sanità pubblica”. Infatti lo stesso presidente ricorda che….
“Il tema del regionalismo differenziato rende molto più complesso raggiungere un accordo sulle “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi” che, di fatto, rientrano tra le maggiori autonomie richieste in sanità da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto”.
Capita l’antifona?