di SERGIO BIANCHINI – I regni e le città stato si sono contesi per secoli un ruolo preponderante. Già 3000 anni fa i regni più forti tendevano all’impero, egitti, assiria, babilonia. Il regno sovrastava la città e l’impero entrambi.
L’antica Grecia vide un proliferare invece di potentissime città stato che costruivano alleanze ed arrivavano ad esercitare l’egemonia su territori piccoli ma contemporaneamente su vaste aree commerciali.
I persiani 2500 anni fa costruirono un grande impero che poi fu emulato da Alessandro Magno, la cui forza però consisteva nel costruire città e commerci connessi a queste. Le città erano presidiate da contingenti macedoni la cui fedeltà al l’imperatore era di natura tribale. Ugualmente i romani che non smisero mai di dividersi in tribù, fondarono un impero dove il commercio, l’agricoltura, le città e l’artigianato erano in continua evoluzione,scontro, collaborazione.
Quindi la vecchia tribù la città nuova, l’antico regno e il nuovo impero non sono realtà che si escludono ma interagiscono e si sviluppano un contrasto parziale e sintesi temporanee.
Impero e regni barbarici hanno convissuto dal 400 in poi e dato origine in occidente al sacro romano impero.
Da questo, dalle sue controversie evolutive interne ed esterne sono nate le nazioni moderne che per 500 anni hanno dominato la scena mondiale e sono arrivate ad un declino relativo che non è il preludio alla scomparsa.
Ancora oggi nelle nazioni contano molto, per l’amministrazione quotidiana, i poteri comunali e provinciali. Nessuno si sogna di eliminarli. Hanno teoricamente eliminato le province ma adesso ammettono l’errore(Fassino) e tutta l’amministrazione statale(scuola, fisco, forze armate..) rimane divisa in livelli provinciali.
La chiesa stessa ha un’articolazione nazionale e provinciale.
Quindi non si tratta di fare la guerra di annientamento alle nazioni provocando una resistenza esistenziale. Caso mai bisogna definire con precisione una giusta ripartizione dei poteri decisionali che consenta sia la crescita di poteri sovranazionali che la tranquillità tradizionale dei territori ben amministrati.
Un mondialismo onesto e benevolente deve avvalersi e collaborare con le realtà nazionali e non forzare la loro autodistruzione. Le leve di natura economica e culturale devono bastare.