di BENEDETTA BAIOCCHI – Dopo neanche 48 ore tira già un’altra aria. Zaia si smarca e tira fuori dal cassetto il piano B, cioè quella velocità che è nelle corde del Veneto. E, forte del suo “plebiscito”, con un governatore lombardo che è a fine mandato, che non si sa che farà dopo, va avanti per la sua strada, mettendo sul piatto l’idea di statuto speciale. Qualcosa che, quando Maroni era più in forze, aveva avanzato come ipotesi anche per la sua Lombardia, a dire il vero. Ma il Veneto è sempre un passo più avanti.
Con la richiesta che il Veneto diventi una regione a statuto speciale, il governatore Luca Zaia “mi ha un po’ spiazzato, non era concordata questa mossa, è stata fatta a mia insaputa”. Quanto al perche’, “francamente non lo so, se per vicende interne alla Lega o per mostrare i muscoli. Però ogni risposta è lecita perché è indubbio che ora c’è un problema all’interno della Lega. E un altro con il governo”. Dunque, i nodi vengono al pettine, e il presidente della Regione Lombardia, in un’intervista a Repubblica, si muove per replicare. Per Maroni la scelta di Zaia è sbagliata. Adesso, osserva, “è difficile fare una battaglia insieme: Bressa mi ha telefonato stamattina (lunedì, ndr) dicendomi chiaro che se io gli avessi chiesto lo statuto speciale per la Lombardia non sarebbe stata possibile alcuna trattativa con il governo, visto che la materia è di competenza del Parlamento. Io speravo di fare una battaglia comune, e invece a questo punto non ci faranno sedere allo stesso tavolo. Un conto è andare a trattare in due, un altro andarci da soli”. Inoltre c’è un “motivo strettamente tecnico: al contrario di quella di Zaia che parlava in modo vago di nuove forme di autonomia senza citare le risorse, la mia richiesta referendaria faceva esplicito riferimento all’articolo 116, il che mi impedisce ora di chiedere lo statuto speciale. Anche se volessi allinearmi al governatore veneto, non potrei farlo”, rileva Maroni. “Non potrei seguirlo sulla sua strada. Ecco perché mi ha un po’ spiazzato”.