di GIOVANNI VENEZIA*– (In questo scritto del collega e amico Giovanni Venezia, recentemente scomparso, vediamo la deriva odierna dei partiti e il venir meno dei valori che muovevano l’agire politico della Lega. Nata per cambiare lo Stato, ora rivolta ad altre geografie d’interesse, tanto da poter affermare che Sturzo era più rivoluzionario di Salvini. All’ultimo congresso della Lega, il motto che campeggiava era “Liberi e forti”, manifesto con cui si presentò nel 1919 il Partito popolare italiano, ispirato da don Sturzo, appunto, ndr).
Guido Dorso, studioso di storia e di economia, nei suoi scritti non ha mancato di evidenzia-re con forza la valenza ideologica, storica, politica e sociale di Luigi Sturzo. Logorato il giolittismo e mentre la classe
politica, divenuta, ormai, avanzi in putrefazione, si affollava agli sportelli della diligenza governativa, per postulare impieghi e prebende, – scrive Dorso -questo prete siciliano, fondatore del Partito popolare italiano, più odiato che amato,… concepì l’audace idea di ri-scattare la maggior parte dei cattolici italiani dall’infecondo e corruttore Patto Gentiloni, per forgiare uno strumento di lotta civile e democratica, necessario al nostro Paese per superare il compro-messo istituzionale nel quale lentamente si era corrotta e disfatta l’eredità del primo risorgimento.
Ed in mezzo a questo verminaio nazionale in cui si spappolava il giolittismo , il socialismo delle cooperative si corrompeva e l’industrialismo dei trivellatori gavazzava, don Luigi Sturzo, costruì il suo partito (forte di ben 100 deputati), autonomista e decentratore, meridionalista libertario ed antifiscale. Le sue idee non trovano limiti di attualità, né di tempo, né di spazio e conferma che il suo pensiero ed i problemi che dibatte sono talmente vasti e generali che investono l’interesse nazionale. Nello spirito del Partito d’Azione di cui Luigi Sturzo fu il fondatore, appare chiaro in prima istanza, la priorità delle aspettative di cittadini: assicurarsi che la vecchia classe politica e lo Stato storico, siano effettivamente, definitivamente distrutti, e che la nuova classe politica ed il nuovo Stato, attraverso nuove avventure ideologiche non riproducano, sotto mutata etichetta, gli stessi mali che costituirono l’inconfondibile caratteristica del fascismo.
In questo senso il Partito costituisce “lo strumento che il popolo ha a sua disposizione per realizzare la sua volontà” attraverso la parola e soprattutto l’azione. Non fu ascoltato don Luigi.
Piuttosto che seguirne la strada indica-ta, e accettare la spinta che le sue idee producevano, i politici di germinazione spontanea e fluttuanti, lo posero in can-tina per farlo dimenticare.
Parte della sua vasta opera è volta allo studio della società ed a divulgare la concezione antistatalista. Infatti, sosteneva, la democrazia vera non è statalista: «Lo statalismo non risolve mai i problemi economici e per di più impoverisce le risorse nazionali; complica le attività individuali, non solo nella vita materiale e degli affari, ma anche nella vita dello spirito».
«Abbiamo in Italia una triste eredità del passato prossimo, e anche in parte del passato remoto, che è finita per essere catena al piede della nostra economia, lo statalismo economico inintelligente e sciupone, assediato da parassiti furbi e intrapren-denti e applaudito da quei sindacalisti senza criterio, che redono che il tesoro dello Stato sia come la botte di San Gerlando, dove il vino non finiva mai».
Polemizzando con La Pira, sosteneva: «… egli crede che il problema da risolvere sarebbe quello di arrivare alla totalità del sistema finanziario in mano allo Stato […] Questo io chiamo statalismo, e contro questo dogma io voglio levare la mia voce senza stancarmi finché il signore mi darà fiato; perché sono convinto che in questo fatto si annidi l’errore di far dello Stato l’idolo: Moloch o Leviathan che sia […]».
In economia i suoi concetti, chiari: «[…] La mia difesa della libera iniziativa è basata sulla convinzione scientifica che l’economia di Stato non solo è anti-economica ma comprime la libertà e per giunta riesce meno utile, o più dannosa, secondo i casi, al benessere sociale». A conclusione di tutto questo, ancora due pensieri di Sturzo. «Lo Stato è per definizione inabile a gestire una semplice bottega di ciabattino». Ed a proposito della scuola scriveva: «Finché la scuola in Italia non sarà libera, nemmeno gli italiani saranno liberi».
In Italia la situazione politico-economica non presentava differenziazioni marcate. Dopo la frammentazione della Democrazia Cristiana il pensiero sturziano è tornato alla ribalta con prepotenza. Le varie anime della Dc ne reclamano la paternità, il diritto di usarlo. Questo induce a riconoscere l’attualità del pensiero antistatalista di Sturzo ma ancora l’anima diccì, dalle mille sfaccettature di paradossale eterogeneità per la difesa di interessi particolari, preferisce tenersi ancora legata all’anima dossettiana, tanto che è stato sottolineato (G. Morra) come nella Democrazia cristiana, già costruita, i vari La Pira, Dossetti, Moro, Fanfani, ed altri “cospiravano” per portare il partito dal centro verso la sinistra.
Così fu. Così è oggi. Ed infatti, a causa dell’azione politica “disastrata, arrivista e conservatrice, la Dc ha consegnato alla sinistra, comunque comunista, le redini per guidare la Nazione, le cui conseguenze, oggi gli italiani pagano attraverso un carico fiscale ancora tra i più alti dell’Unione Europea, con una disoccupazione a livelli critici, un costo del lavoro altrettanto alto ed investimenti ridotti o addirittura inesistenti». (D. Antiseri in Società Libera).
È in questa fase che emerge il pensiero, direi a carattere oggettivo di Sturzo come ragione della storia e nella storia. L’attualità del suo pensiero, oggi più che mai, nella realtà storico, politica e sociale, «richiede l’intervento di politici sani e virtuosi per combattere, con strumenti idonei ed efficaci, ma soprattutto popolari, il tentativo degli stessi politici di moltiplicare vincoli e legami per contrastare le autonomie locali già ricono-sciute non mancando di impacciare industrie e commerci, vincolare la scuola e la cultura, creare, insomma, e rafforzare lo Stato interventista».
Nel dettato politico sturziano rimane viva ed importante la sua coerenza: lotta allo statalismo che si concretizza – scrive ancora Morra – perché imputa alla Dc, con spirito profetico, la nascita delle tre malebestie della democrazia: statalismo, partitocrazia e sistema delle tangenti. Possedeva il prete siciliano, le tre virtù necessarie del vero politico – continua Morra – ispirazione ideale, intransigenza morale e realismo sociologico che, sommati con la fratellanza e l’amore, rendono forte la democrazia senza pericolo di decadere in demagogia ovvero in dittatura.
Dello Stato, Sturzo sosteneva essere ordine necessario per il vivere civile, mentre dello statalismo diceva essere il distruttore di ogni ordine istituzionale e di ogni morale amministrativa.
L’individualismo non può essere accentuato a danno della società né l’accentuazione socialista a danno della individualità. Così – continua Sturzo – dicasi di libertà e liberalismo, comunità e comunismo. Statalismo non è lo Stato ma è
contro lo Stato. Ad esempio. All’aumento degli stipendi degli impiegati corrisponde l’aumento delle tasse che a loro volta si ripercuoto-no sempre sui prezzi e sulle tariffe postali, ferroviarie, telefoniche, sul costo del lavoro e con giro vizioso e sempre uguale si annulleranno ricominciando, anche attraverso manifestazioni di sciopero, tutto daccapo fino a diminuire sempre più il potere d’acquisto della moneta; con tutte le conseguenze che in economia ne scaturiscono.
Appare, come conseguenza, sereno il concetto che «senza libertà economica non ci può essere libertà politica, né si potrebbe parlare di diritti individuali. Ed è innegabile che le società che hanno abbracciato l’economia di mercato sono quelle dove il benessere è più diffuso».
Con amarezza e preoccupazione scriveva: «Io non ho nulla, non possiedo nulla, non desidero nulla. Ho lottato tutta la mia vita per una libertà politica completa ma responsabile. La perdita della libertà economica, verso la quale si corre a gran passo in Italia, seguirà la perdita effettiva della libertà politica, anche se resteranno le forme elettive di un parlamento apparente che giorno per giorno seguirà la sua abdicazione di fronte alla burocrazia, ai sindacati e agli enti economici, che formeranno la struttura del nuovo Stato più o meno bolscevizzato. Che Dio disperda la profezia!». E per evitare il peggio per l’Italia emerge con forza la necessità di una classe dirigente del tutto nuova, formata e capace che non comprenda le “vecchie glorie”. Ma da uomini competenti, onesti e pertanto credibili.
Luigi Sturzo, questo grande profeta inascoltato, aveva intuìto che «nella mente dei dirigenti della politica assumeva la figura dell’avversario che sferza e non del critico che coopera e neanche del medico che diagnostica la malattia e ne prescrive la cura». Amareggiato eleva le mani verso il Cielo: «Prego Dio che il mio grido sopravviva alla mia tomba». Il Terzo Millennio sarà l’èra dell’anti-statalismo?
*da Il Federalismo, direttore responsabile Stefania Piazzo