L’esito negativo rispetto all’indipendenza della Scozia dal Regno Unito che è uscito dallo spoglio del voto referendario del 18 Settembre sta generando una mole considerevole di osservazioni, dalle quali vorrei distinguermi per offrire un punto di vista che nessuno sta valutando e sul quale so di non essere molto popolare.
Altri stanno spiegando quale grande prova di democrazia sia comunque stata offerta. Poi c’è chi sostiene che ciò costituisca un precedente all’interno della UE che rende discriminatorio ogni futuro rifiuto di concedere analoghe possibilità di consultazione democratica, laddove ne esistano i presupposti. C’è chi discute sul modello di Europa, con la polarità che varia dall’unionismo socialista, tanto caro al Partito, fino all’idea di confederazione delle regioni autonome preferito dai movimenti meno statalisti.
Io vorrei invece esprimere il mio rammarico profondo per quello che continuo a considerare, anche in quanto cittadino veneto, il gravissimo peccato originale di tutte le rivendicazioni indipendentiste odierne: la prevalenza dell’aspetto materialista economico.
Negli ultimi 25 anni abbiamo visto sorgere in Europa tanti nuovi Stati indipendenti, perciò nessuna obiezione di carattere politico o giuridico può essere sostenuta seriamente contro il desiderio di Catalogna e Repubblica Veneta di seguire la pacifica via scozzese sperando in un esito diverso, come per esempio quello della Slovacchia e della Repubblica Ceca che nel 1993 posero fine alla Cecoslovacchia. Ma la vicenda scozzese ha messo a nudo una questione sulla quale riflettere: per mantenere la conveniente sovranità sugli scozzesi, il Regno Unito ha offerto denaro sotto forma di ulteriori autonomie operative, garanzie di welfare, benefici fiscali. Hanno fatto una trattativa per vedere se si trattava di voglia d’indipendenza o voglia di soldi e, alla fine, il prezzo per far sollevare ancora una volta il kilt e mettersi a 90 gradi è stato trovato. Gli scozzesi hanno perciò ratificato la vendita della loro dignità per un prezzo ritenuto soddisfacente.
Diciamolo fuori dai denti: quanti veneti oggi protestano l’indipendenza per colpa di condizioni economiche divenute insoddisfacenti, mentre 20-25 anni fa si indignavano davanti a noi, allora eravamo solo ragazzi, che andavamo a fare la catena umana sul Po quando la Lega Nord, appena nata dalla fusione tra lombardi e veneti, non era ancora quel che è poi diventata? Mi permetto di andare oltre, con un’ipotesi assurda perché ragionare per assurdo aiuta a raggiungere il limite: quanti veneti voterebbero per l’indipendenza davanti a un’offerta (per assurdo, ho detto) dall’Italia di 20 miliardi di euro all’anno, cioè l’attuale residuo fiscale? E quanti, proprio come gli scozzesi, sarebbero pronti a votare contro l’indipendenza per molto meno, magari in cambio di qualche favore personale, o alla propria categoria economica, o all’area di residenza?
Personalmente, ma io sono un idealista e dunque un pazzo sognatore, io sarei disposto a pagare a rate per tutta la vita pur di non sentirmi più addosso la sporcizia di essere macchiato della cittadinanza di uno Stato privo di valori come la Repubblica Italiana, in preda al degrado morale e sottomesso da inconfessabili interessi privati, quando non sono addirittura occulti. Preferirei avere la certezza di passare una vita da povero, ma veneto indipendente, che da ricco, ma italiano.
Solo con questa consapevolezza, che alcuni considerano fanatismo, l’indipendenza diventa non negoziabile, improcrastinabile, necessaria come l’ossigeno. Ma per raggiungere tale consapevolezza bisogna possedere un’identità diversa da coloro dai quali ci si vuole separare. Essere veneto significa avere valori diversi dall’essere italiano. Il popolo del Redentore, il popolo di San Marco, non è un popolo materialista, ateo, ispirato da valori massonico-illuministi, privo di una fede e schiavo del denaro. Senza questa consapevolezza identitaria profonda, ogni battaglia per l’indipendenza si ridurrà solo a una trattativa per stabilire il prezzo per inginocchiarsi, a mutande abbassate. Non si perderà solo il referendum, si perderà anche l’onore. E dicono che faccia male, se non si è già pratici.