Destra e sinistra, difficile trovare le differenze

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di ROMANO BRACALINI – Lanza e Quintino Sella, Crispi e Zanardelli: i primi rimisero in sesto i conti dello Stato con la politica di tagli e spese oculate, i secondi lo fecero fallire con i sogni di grandezza e la loro incapacità manifesta. È la storia del primo regno d’Italia.
La Destra puntava al pareggio e ci riuscì. La Sinistra puntava all’impero e fallì. La prima rimise in sesto i conti dello Stato con una saggia politica di tagli e di spese oculate, la seconda lo fece fallire con le avventure coloniali, i sogni di grandezza e l’incapacità manifesta dei suoi uomini più rappresentativi. Sono dati incontestabili per chiunque abbia un minimo di familiarità con la storia del primo regno d’Italia. Tra Francesco Crispi, sinistra, e Giovanni Lanza, destra, chi fu miglior statista? E tra Giuseppe Zanardelli, sinistra, e Quintino Sella, destra, chi si mostrò più avveduto e onesto amministratore? L’argomento ripropone il confronto tra Destra storica e
Sinistra storica che si alternarono al potere nella seconda metà dell’Ottocento.

Giudizi di merito che hanno suscitato sdegno a sinistra, cosicché la frase contenuta in un libro di storia per la terza media, I nuovi sentieri della storia, Istituto Geografico De Agostini di Novara, venne incorniciata ed esposta al pubblico ludibrio dall’Unità nella fascia rossa sopra il titolo riservata ai nemici di classe e ai reprobi. La frase era questa: «Gli uomini della destra erano aristocratici e grandi proprietari terrieri. Essi facevano politica al solo scopo di rendere un servizio allo Stato e non per elevarsi socialmente o arricchirsi. Gli uomini della sinistra, invece, sono professionisti, imprenditori e avvocati disposti a fare carriera in qualunque modo, talvolta sacrificando persino il bene della nazione ai propri interessi. La grande differenza tra i governi della destra e quelli della sinistra consiste soprattutto nella diversità del loro atteggiamento morale e politico».

Nulla di più vero e accertato in sede storica. Del caso ne diede notizia Caterina Soffici sul Giornale, ma si trattò di un caso vecchio tornato  alla ribalta perché qualcuno distrattamente  ripescò quella frase su Internet. Come a un segnale convenuto si levò un coro contro “il libro di scuola che insulta la sinistra“, contro “le pillole morattiane“, contro “la scuola di regime“. E a parte l’Unità, il deputato ulivista Giovanni Crema, invece di aprire un bigino, ne fece  una bella interrogazione parlamentare per sapere “come sia stato possibile che gli organi istituzionali deputati alla vigilanza non abbiano impedito tali espressioni“.

L’onorevole Crema, col codazzo di zelanti paladini dell’onore offeso, sbagliò bersaglio confondendo il partito liberale ottocentesco per un aggregato dell’Ulivo e la Moratti con Coppino, ministro della Pubblica istruzione dell’Italietta liberale. Mal gliene incolse. La Moratti non c’entrava, Coppino era morto da un pezzo.

Vediamo di fare un po’ d’ordine. Intanto si deve sapere che Destra storica e Sinistra storica erano due correnti del medesimo grande partito liberal-nazionale erede dei partiti che da versanti opposti ma convergenti avevano fatto la “Rivoluzione“ nazionale: cavouriani e mazziniani, ovvero destra e sinistra, monarchici e repubblicani, moderati e rivoluzionari. Nella corrente di destra militavano i moderati monarchici, nella corrente di sinistra prevalevano i repubblicani mazziniani e garibaldini, ma non erano assenti uomini di fede monarchica. Era stato Crispi, mazziniano, a lanciare il grido. «La Repubblica ci divide, la monarchia ci unisce». In realtà era difficile distinguere in quel calderone i conservatori e i rivoluzionari, proprio come oggi.

La Destra storica governò dal 1861 al 1876 con uomini probi e onesti (Ricasoli, Minghetti e Sella, famoso per la politica della lesina) cui non interessava né la gloria né la potenza militare, ma ricercando il modo più idoneo per risanare l’enorme debito contratto per finanziarie le guerre del Risorgimento e gli alleati di turno (principalmente i francesi) che venivano a darci una mano a spese dell’erario.

La sinistra salita al potere nel 1876 con Agostino Depretis, il “vil vinattiere di Stradella“, come lo chiamava Carducci, inaugurò il “trasformismo” che era “tradimento di ideali e accomodamento di interessi”, una pratica di cinismo e di corruzione per restare al potere con maggioranze variabili e fluttuanti, di cui la Repubblica italiana si sarebbe avvalsa ampiamente. Lo scandalo della Banca Romana, la prima Tangentopoli italiana, scoppiò sotto Crispi. La Destra ebbe a cuore la stabilità e la concordia senza avventure,la sinistra “democratica” mostrò il suo volto militarista e imperialista sognando, in anticipo su Mussolini, un vasto impero coloniale in Africa in
spregio al principio di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli che era stato alla base del processo unitario. Mussolini ammirava
Crispi nel quale aveva visto il precursore.

La Destra, formata da proprietari terrieri, come il barone Ricasoli, e imprenditori tessili, come Sella, “mercante di panni”, come lo dileggiava Vittorio Emanuele II, non vide nella politica nessun vantaggio o tornaconto personale e impresse allo Stato lo stile piemontese fin nella burocrazia e nell’esercito ancora dominati dall’élite subalpina. La Sinistra, formata da professionisti, affaristi, avvocati di pochi scrupoli, come  Crispi, detto Ciccio, da politici di mestiere, mostrò il suo volto aggressivo e inclinazioni protofasciste legandosi nel 1882 agli Imperi centrali (Austria-Ungheria e Germania) in un’alleanza dinastica e militare, dando inizio al processo di “meridionalizzazione” Dello Stato con una burocrazia di stampo borbonico vessatoria e inefficiente quanto quella piemontese era lenta ma onesta e rispettosa del cittadino. La sola analogia che ci sovviene è che la sinistra “virtuosa e pacifista” finisce sempre per tradire la sua vera natura autoritaria e bellicista. Dice Carlo Dossi, scrittore lombardo e spirito beffardo, che “la sinistra era un partito quasi illetterato. Né Cairoli, né Depretis, né Crispi, né Zanardelli, né Nicotera lasciano alcun libro nel quale il pubblico possa leggere come la pensino. La destra,invece, ha tutta una letteratura, Minghetti, Mamiani, Bonghi, Luzzati, Correnti (poiché anche Correnti è di destra)».

Zanardelli aveva fatto un unico viaggio all’estero andando a Lugano due volte, nel 1858 e nel 1885; era ignorantissimo in tutto ciò che non atteneva alla politica parlamentare e al garbuglio forense. Dossi gli citava qualche nome illustre di letterato, di artista, di scienziato contemporaneo. Non l’aveva mai sentito nominare. L’epilogo di questa storia è altrettanto divertente delle lacune culturali del povero Zanardelli. Né miglior figura ha fatto il sindacato (figuriamoci se poteva mancare il sindacato!) che ha denunciato «l’ingerenza della Moratti nella scelta dei testi» e ha presentato ricorso al Tar del Lazio incriminando al contempo le case editrici per la scelta dei testi scolastici che evidentemente dovevano essere visionati per il benestare dal Minculpop “democratico”. Ma i severi sono incorsero in due svarioni.

Il testo incriminato, infatti, è del 1996 e a quell’epoca al ministero dell’Istruzione non c’era la Moratti. Quanto alla sinistra e alla destra del partito liberale dell’Ottocento confusi con la sinistra e la destra d’oggi, è un errore che sarebbe già grave se a commetterlo fosse stato un allievo della scuola dell’obbligo. Ma come testimonia Dossi, è evidente che anche nella sinistra odierna c’è bisogno d’un urgente ripasso. E come la mettiamo con l’Unità che scambiò Depretis con Fassino?

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