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Democrazia, federalismo, indipendenza: fiumi di parole…

Il Meglio dell’Indipendenza

di ENZO TRENTIN

C’è un’analogia con una vecchia canzone di Mina ch’ebbe successo nel 1972. L’Innamorato Alberto Lupo è suadente, romantico. Mina lo blandisce: parole, parole, soltanto parole. In Italia la situazione sembra analoga. La parola democrazia è una definizione senza senso, distorta, abusata: democrazia rappresentativa, liquida, partecipativa e chi più ne ha più ne metta. Nella sostanza non è quella “regola del popolo” che trae origine dal greco δῆμος (démos): popolo e κράτος (cràtos): potere, che etimologicamente significa “governo del popolo”, ovvero sistema di governo in cui la sovranità è esercitata, direttamente dall’insieme dei cittadini.

Lo stesso dicasi per il federalismo. Soprattutto in Lega Nord dove secondo il prof. G.F. Miglio nessuno ne conosceva il significato. Se n’è così abusato: federalismo fiscale, solidale, demaniale ed altre amenità lo hanno svuotato e reso inviso persino a coloro che inizialmente lo avevano accettato. Il “Corriere della Sera” del 9 settembre c’informa che a Cernobbio (Como) «II gradimento degli imprenditori nei confronti del federalismo è arrivato al punto più basso della recente storia d’Italia. Alla domanda-sondaggio proposta dagli organizzatori del workshop Ambrosetti “Quali dei grandi temi del Paese devono essere delegali alla competenza delle Regioni e non devono essere accentrati?” il 40% ha risposto: nessuno. […] Gli imprenditori pensano che sia meglio sottrarre queste materie alla competenza federale, il federalismo non solo non è annoverato più tra le riforme che servono per recuperare competitività ma è diventato sinonimo di burocrazia. “Non mi stupisco – commenta Luca Antonini, ex presidente della commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale – siamo riusciti a creare un federalismo di complicazione che rende la vita difficile alle imprese perché ha moltiplicato gli adempimenti e ha massacrato la certezza del diritto”. Praticamente non c’è norma emanata dallo Stato o dalle Regioni che non venga impugnata dalle Regioni o dallo Stato presso la Corte costituzionale creando quantomeno una fase di incertezza legislativa destinata a durare in media otto mesi.» Certo che se lo dice l’ex presidente della commissione tecnica… Tsz!

Nelle sue conferenze Giancarlo Pagliarini (exMinistro del Bilancio e della Programmazione Economica)sostiene: il problema è che col “decentramento” realizzato in questi anni il potere è ed è rimasto “proprietà esclusiva” dello Stato centrale, che, bontà sua, ha trasferito (provvisoriamente) una parte del suo (suo!) potere e delle sue (sue!) tasse agli enti territoriali. Ed ha continuato a trattare i cittadini e i Comuni italiani come sudditi. “Federalismo” e “decentramento” sono due cose molto diverse, e del federalismo, quello vero, nel nostro paese in questi anni non si è mai parlato. Lo zero assoluto: l’abc del vero federalismo è quasi un argomento tabù. Federalismo non significa due o tre Euro in più o in meno. Si tratta di mediazione tra diversità e unità. Gli enti territoriali federati devono essere sovrani a tutti gli effetti sui propri territori con sovranità irrevocabili, e devono avere la capacità di resistere alla naturale tendenza espansiva del potere centrale. Questo è l’articolo 3 della costituzione Svizzera: “I Cantoni sono sovrani per quanto la loro sovranità non sia limitata dalla Costituzione ed esercitano tutti i diritti non delegati alla Confederazione”: ecco, questa è una delle ragioni per cui la Svizzera – per il quinto anno consecutivo – è il paese più competitivo al mondo (vedasi World Economic Forum).

Dunque, anche qui a furia di parlarne si sono persi di vista i concetti fondamentali: “Con l’accentramento, il cittadino e il Comune sono privati di tutta la loro dignità, le interferenze dello Stato si moltiplicano e gli oneri del contribuente crescono in proporzione. Non è più il governo che è fatto per il popolo, è il popolo che è fatto per il governo. Il Potere invade tutto, si occupa di tutto, si arroga tutto, in perpetuo, per l’eternità, per sempre. È così che il sistema di centralizzazione, di imperialismo, di comunismo, di assolutismo – tutti questi termini sono sinonimi – scaturisce dall’idealismo popolare; è così che nel patto sociale, concepito alla maniera di Rousseau e dei giacobini, il cittadino si dimette dalla sua sovranità e il Comune, e sopra al Comune il Dipartimento e la Provincia, assorbiti nell’autorità centrale, non sono altro che agenzie sotto la direzione immediata del ministero.” (P. J. Proudhon, Del Principio federativo, p. 126).

Il termine indipendenza sembra destinato allo stesso depauperamento. Benedetto Croce in un articolo (“Revisione filosofica dei concetti di ‘libertà’ e di ‘giustizia’”) pubblicato su La “Critica” n. 41 del 1943, scrive: “Poiché la libertà è l’essenza dell’uomo, e l’uomo la possiede nella sua qualità di uomo, non è da prendere letteralmente e materialmente l’espressione che bisogni all’uomo ‘dare libertà’, che è ciò che non gli si può dare perché già l’ha in sé. Tanto poco gli si può dare che non si può neanche toglierla” […] “tutto quanto è da fare moralmente, fa e deve fare da sé, traendolo da sé stesso e non trovando mai fuori di sé altra forza.” […] “il campo che spetta all’uomo d’azione, che è veramente tale se è tutt’insieme cauto ed ardito, conservatore e rivoluzionario”.

Che ci siano in Italia partiti sedicenti indipendentisti che concorrono alle elezioni politico-amministrative dello Stato dal quale vogliono staccarsi, è quanto meno stupefacente. Che tali soggetti partitici si attivino per un referendum consultivo presta solo il fianco a perplessità. Considerato com’è andata a Venezia il 17 settembre, costoro si vedranno più determinati che mai a concorrere alla prossime elezioni regionali. Vorranno fare ciò che i partiti di regime non pensano assolutamente di realizzare. Tuttavia saranno eletti in numero determinante? Difficile! Ed anche lo fossero passeranno anni e anni prima che il regime pseudo democratico nato dalla resistenza (Tsz!) molli l’osso. In ogni caso ai partiti di sostituiranno altri partiti. Proudhon scrive anche: “Tutti i partiti senza eccezione, nella misura in cui si propongono la conquista del potere, sono varietà dell’assolutismo” […] “Il governo sull’uomo da parte dell’uomo è la schiavitù” […] “Chiunque mi metta le mani addosso per governarmi è un usurpatore e un tiranno: io lo proclamo mio nemico“.

I partiti sedicenti indipendentisti vivono di parole, parole, parole e di qualche atto eclatante finalizzato a suscitare la simpatia e l’adesione della platea elettorale alla quale si rivolgono. Di fatto in Veneto si scontrano accanitamente tra di loro [realizzando persino liste di proscrizione: http://www.veneto-stato.eu/ Comunicato Stampa Associazioni ostili] e con l’ottusità – peraltro interessata – della partitocrazia più bieca.

Di contro esistono altri soggetti che, per semplicità, definiremo secessionisti. Costoro sembrano comportarsi come il coniuge che vuole divorziare: non chiede il permesso all’altro coniuge. Divorzia e basta. Semmai si da’ da fare con documenti e atti che giustifichino e supportino la sua azione. Ed in questo ambito possiamo segnalare l’esistenza di una bozza di Costituzione redatta in italiano ed il lingua veneta, come l’avanzata elaborazione di un nuovo Codice penale. Atti prodromi della ricerca di consenso interno all’area geografica cui vogliono rivolgersi, come dell’appoggio alla più vasta platea internazionale.

Un consenso, dunque, basato sui fatti, non sulle parole o le promesse, poiché come scriveva Pietro Calamandrei: “Le leggi create attraverso un meccanismo legislativo da cui siano esclusi gruppi più o meno ampi di cittadini si obbediscono per timore, come quelle di un invasore straniero, ma intimamente si disprezzano e si odiano, e se si possono frodare ci si ingegna.”  Infatti “Le leggi vivono in quanto hanno dietro di sé, ad alimentarle perennemente, il consenso: ove questo manchi, esse si afflosciano e cadono come vuota buccia senza interno sostegno”.

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