di ROBERTO BERNARDELLI – Contratti a termine che possono durare al massimo 2 anni e non più 3; ritorno delle causali per rinnovare gli stessi, ma per un massimo di 4 volte anziché 5; un contributo aggiuntivo dello 0,5% su ogni rinnovo; forte aumento dell’indennità sui licenziamenti illegittimi: ora può oscillare tra 4 e 24 mesi di stipendio, da domani sale da 6 a 36 mesi. Così la scheda del Corriere illustra il primo provvedimento del governo.
Tutto rose e fiori? Neanche per idea. Leggiamo come via Solferino “benedice” le nuove norme:
“Con questo pacchetto che apre il cosiddetto «decreto dignità»il ministro del Lavoro e dello Sviluppo, Luigi Di Maio, ha annunciato di aver «licenziato il Jobs act» del governo Renzi. Ma sarebbe sbagliato attendersi un calo automatico del numero di lavoratori con i contratti a termine (circa il 12% del totale) e un aumento uguale di quelli con i contratti «a tutele crescenti» (la novità principale del Jobs act non viene infatti messa in discussione dal decreto). L’esperienza dice che un imprenditore che ha assunto una persona a termine non lo prende poi in forma stabile solo perché rinnovare il contratto diventa più complicato e un pochino più costoso. Più facile che, soprattutto nelle mansioni che non richiedono particolari competenze, l’imprenditore assuma un’altra persona, sempre a termine, o trovi altri escamotage. Più in concreto, il decreto può contrastare gli abusi che certo ci sono, ma col rischio di aumentare il contenzioso e il sommerso”.
Insomma, è tutto chiaro? Polvere e fumo, sostanza poca. E lo denuncia anche Confindustria: “Si tratta – spiega l’associazione – del primo vero atto collegiale del nuovo esecutivo e, anche per questo, è un segnale molto negativo per il mondo delle imprese”. “Come abbiamo sempre sostenuto sono infatti le imprese che creano il lavoro. Le regole possono favorire o scoraggiare i processi di sviluppo e hanno la funzione di accompagnare i cambiamenti in atto, anche nel mercato del lavoro. Si dovrebbe perciò intervenire sulle regole quando è necessario per tener conto di questi cambiamenti e, soprattutto, degli effetti prodotti da quelle precedenti. Il contrario di ciò che è avvenuto col decreto dignità”.