Crisi finanziaria, settimana senza certezze

Neppure il più bravo e fantasioso autore di thriller finanziari avrebbe potuto immaginare una trama come quella che si è sviluppata nella settimana appena trascorsa nel mondo occidentale. Il crollo della banca dove le più affermate start up e i loro giovani e super affermati addetti depositavano i loro fondi e risparmi (la Silicon Valley Bank), la crisi forse irreversibile di uno dei due grandi colossi della finanza elvetica (Credit Suisse), i dubbi amletici delle banche centrali sull’atteggiamento da tenere di fronte ad una congiuntura in cui non arriva la temuta recessione ma resiste l’inflazione. E tutto questo mentre la “normalità” è la perdurante guerra in Ucraina e la pandemia non appare del tutto sconfitta. Una situazione in cui i tre attori della scena mondiale, Usa, Russia, Cina, marciano su un filo sottile alla ricerca di un equilibrio impossibile con i timori di una crii bellica mondiale, fra Ucraina, Taiwan, Medioriente. Sette giorni di cali borsistici mondiali (Milano la peggiore in Europa con un -6,6% nelle cinque sedute) nonostante le munizioni sparate dalle istituzioni finanziarie e governative.

Ben 54 miliardi di euro da parte della banca centrale Svizzera per salvare il Credit Suisse (ma non basteranno quasi certamente, servirà un aumento di capitale forse coinvolgendo il più ricco e potente concorrente UBS), ben 30 miliardi di dollari delle prime banche USA per sostenere la First national bank, un’altra delle quattro banche regionale a stelle e strisce coinvolte nella crisi. Per non parlare degli sforzi politici della FED, la banca centrale USA, e del Tesoro americano che scendono in campo per avviare una regolamentazione più stretta. E proprio questo è il punto. Da più parti viene sottolineata la diversità europea. Le nostre banche, quelle europee sottoposte alla vigilanza della BCE, quelle definite sistemiche per il loro peso economico, per la loro importanza, sono severamente osservate. Spesso le misure cui sono sottoposte sono state pesanti, invasive. Ma la loro attenzione verso le norme di vigilanza rappresentano una garanzia, ci parlano di una liquidità garantita anche di fronte alle situazioni più serie. La regolamentazione USA, e se vogliamo anche quella svizzera, non hanno le stessa “cattiveria”, soprattutto negli Stati Uniti, nei confronti delle banche regionali fonti della crisi di questi giorni. La loro situazione rimane al centro delle preoccupazioni internazionali (anche se, come sembra sia anche per il Credit Suisse, non figurano esposizioni significative per le banche europee) e i prossimi giorni ci diranno di più. Vedendo anche quale sarà la reazione dei mercati borsistici, a partire da domani.

La decisione della BCE di aumentare di un altro mezzo punto i tasso di interesse ha lasciato l’amaro in bocca. La Presidente Christine Lagarde ha detto due cose non banali nell’annunciare la decisione. Lo scenario che ha portato all’aumento non ha tenuto conto della CRISI USA-Svizzera. Male. Non ha parlato di prossimi sicuri nuovi aumenti e del loro ammontare, ma che si deciderà sulla base dei dati del momento. Bene. E su questo fronte sappiamo già, se serve, che l’inflazione sta scendendo in tutta Europa, anche in Italia. Anche se all’obiettivo del 2%, quello che deve conseguire la BCE, si arriverà forse nel 2025. Ma quello che preoccupa è il totale distacco della Banca centrale, la sua elitaria indipendenza, dalla Politica nel vero senso della parola, e da quella di bilancio. I poteri di Francoforte sono enormi, vastissimi. Toccano i destini dei cittadini europei (mutui alle famiglie, prestiti alle imprese) senza alcuna legittimazione politica. Si può andare avanti così? Neanche negli Stati Uniti funziona in questo modo. La FED deve infatti confrontarsi con la politica governativa, pur disponendo di ampia autonomia. In un momento in cui si parla di grandi cambiamenti e scenari nuovi da impostare questo dovrebbe essere il primo punto da affrontare.

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