di STEFANIA PIAZZO – Ieri sono intervenuti i capi di stato a commentare il disastro. Persino Trump tra i primi. Ma nel momento in cui scriviamo non abbiamo ancora sentito la voce del capo della cristianità.
Un caro amico davanti alla devastazione di Notre Dame ha commentato: “Saint Denis vandalizzata da torme di “profughi” (terza generazione, non integrati), Notre Dame in fiamme… le cattedrali di Francia, il cuore della nostra civiltà: è un disastro, ma è anche un tragico messaggio simbolico”.
La domanda è: cosa saremmo noi senza le cattedrali? Immaginiamo Notre Dame rasa al suolo, piazza Duomo senza il Duomo di Milano. Piazza San Marco senza San Marco. Immaginiamo che tutto l’Occidente cristiano sparisca, con tutto il suo contenuto. La sua arte. Via per sempre. Ci interroghiamo su chi siamo solo quando sparisce un pezzo della nostra identità, poi torniamo alla quotidiana banalità sulle cose da fare per conquistare qualcosa.
Immaginiamo Firenze senza gli Uffizi. Immaginiamo che spariscano le opere di Leonardo, la Vergine delle rocce, che di Raffaello, di Michelangelo, non resti più nulla. Non sono mai esistiti. Via Tiziano, Caravaggio. Pinturicchio. Bruciato tutto il ‘500, le opere di Giotto, Assisi. Via il Louvre. Gli impressionisti.
Oggi la nostra civiltà verrà ricordata per essere quella dei social. Instragram quello più seguito e ambito. Viviamo dentro questa anarchia apparente della comunicazione. Apparire per essere. Non costa nulla. L’arte è fottere. Un tempo, l’arte era garantire allo spirito, all’anima, di lasciare un segno attraverso la bellezza.
E infatti la differenza la vediamo. Viviamo nella civiltà del brutto, della plastica, del rifiuto, dei ghetti dormitorio, persino le chiese siamo riusciti a costruirle brutte, quelle nuove e in periferia. Amalgama di cemento e simil croci stilizzate.
Serve vedere Notre Dame bruciare per ricordarci chi siamo e cosa ci resta. Tutto il resto è made in China, telefonini, hamburger, influencer, e sballo.