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Coming out di un padano piccolo piccolo

residuo3di RICCARDO POZZI – Lo confesso, non ce l’ho con il Sud Italia, il terrone non turba i miei polentonici sonni, anzi, mi sta simpatico.  Gli italiani del Sud non mi danno noia e nemmeno  i clacson infernali delle loro città mi infastidiscono, considero sbagliate  le analisi che descrivono un meridione arretrato, riconosco che il Sud fa bene  a non pagare le tasse che riesce a non pagare, perché tasse+pizzo è troppo anche per un santo. Adoro la cucina di tutta la terronia e non mi dispiace se mi danno del polentone, in fondo hanno ragione;  amo in modo viscerale tutta la storia e le sue testimonianze che nel Sud sono conservate.

Simpatizzo per i meridionali, mi piace la loro ospitalità che trovo familiare  e non familistica, sono entusiasta del loro calore umano, addirittura del volume delle loro conversazioni, del loro gesticolare  e dei loro dialetti, li considero i migliori lavoratori del mondo e le menti più creative che conosca provengono da quelle terre, condivido il giudizio freddo e snob che danno della gente di Milano e a volte del Nord in genere. Non credo a una  secessione del Nord dal Sud, non mi importa  di avere un’altra  bandiera da sventolare senza convinzione  o un nuovo inno da fingere di cantare, non mi interessa differenziarmi dai meridionali e in qualche parte del meridione sarei anche disposto a trasferirmi una volta in pensione. Non mi sento minimamente migliore di loro, non tengo ad alcuna differenziazione, non mi preoccupo affatto di sottolineare primati anche di fronte alla loro evidenza, non credo al razzismo perché non credo alle razze, nemmeno a quella padana, ancora meno a quella meridionale.  Credo che la povertà abbia la stessa faccia ad ogni latitudine e che la povera gente del Sud sia molto più dignitosa della criminalità che, ormai , tutti insieme sopportiamo.

Nessun senso di superiorità, nessun senso di inferiorità, nessun giudizio e nessun pregiudizio.

C’è solo una cosa, una sola, che nonostante i miei sforzi  non riesco  a deglutire,  e la sento lì che non si muove, non va  né su e né giù.

Anche se cerco di ignorarla, di non ascoltarla, di elaborarne le motivazioni e assimilarne le ragioni, è sempre lì nel gozzo, e sento che sto invecchiando con la certezza di non riuscire ad accettarla.

Da lombardo che lavora da trentacinque anni, ogni anno  verso  più di 5.000 euro di residuo fiscale a un mio fratello del Sud che non ho mai visto e non ho mai conosciuto. Ormai sono arrivato a  175.000 euro totali e alla fine della mia vita lavorativa arriverò, vicino ai settant’anni, ad avergli mandato oltre 235.000 euro.

Vengono chiamati solidarietà nazionale o perequazione interregionale per lo sviluppo territoriale.

Ma la domanda  che non mi va giù è la seguente:  visto che lo sviluppo territoriale continua a non esserci, a cosa sono serviti i miei soldi?

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