di Monica Rizzi – Migrare dal Sud al Nord per non morire, per curarsi, per…. supplire alla patologica presenza di una sanità regionale che non si sa il più delle volte come funzioni, e perché funzioni così male.
I dati della fondazione Gimbe lo confermano. Anche se la pandemia ha frenato gli spostamenti degli italiani per curarsi, nel 2020 solo, la mobilità sanitaria interregionale, ovvero il saldo che risulta dalla differenza tra l’attrazione di pazienti da altre Regioni e la ‘migrazione’ da quella di residenza, ha raggiunto un valore di 3,3 miliardi e riflette le grandi diseguaglianze di servizi sanitari tra Nord e Sud.
Perché? Perché, per quanto anche al Nord non si brilli di efficienza, qui i Livelli essenziali di assistenza (Lea) se la cavano ancora. Tengono botta, grazie alla generosità del personale sanitario e ai loro innegabili sacrifici.
Le tre regioni che hanno iniziato le trattative per l’autonomia differenziata raccolgono, insieme, quasi la metà della mobilità attiva: Lombardia (20%), Emilia-Romagna (16,5%) e Veneto (13%). Un ulteriore 21% viene attratto dalla triade Lazio (8%), Piemonte (7%) e Toscana (5%). Quanto alla mobilità passiva, 3 Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre 300 milioni di euro: in testa Lazio (14%), Lombardia (11%) e Campania (10%), mentre mancano i dati sulla Calabria.
Complessivamente, spiega Gimbe, l’85,8% degli spostamenti per cure riguardano ricoveri ordinari e in day hospital (69%), seguiti dalle prestazioni di specialistica ambulatoriale (16%). In particolare, più della metà del valore della mobilità sanitaria è erogata da strutture private, per un valore di 1.422 milioni (53%), rispetto ai 1.279 milioni (47%) delle strutture pubbliche.
“I flussi economici della mobilità sanitaria – commenta Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – scorrono prevalentemente da Sud a Nord, in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. E oltre la metà delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale finisce nelle casse delle strutture private, ulteriore segnale d’indebolimento della sanità pubblica”. Va sottolineato inoltre, conclude, “che è impossibile stimare l’impatto economico complessivo della mobilità sanitaria che include, tra gli altri, i costi sostenuti da pazienti e familiari per gli spostamenti”.
Chiediamoci perché si migra, e perché in Lombardia, la sanità non regge e si va dai privati. A proprosito, di chi è la più recente riorganizzazione della sanità regionale? Ecco.
Monica Rizzi – Responsabile organizzativo Grande Nord