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CHI PAGA, COMANDA?

thomas-jeffersondi ENZO TRENTIN – Io sono rimasto a democrazia, dal greco démos: popolo, e cràtos: potere. Etimologicamente significa “governo del popolo”. Un sistema di governo in cui la sovranità è esercitata, direttamente dall’insieme dei cittadini e non dai loro rappresentanti che sono solamente dei delegati.

Vorrei anche ricordare le parole dello scrittore statunitense Mark Twain: «Se votare facesse qualche differenza, non ce lo farebbero fare.» Il toscano Filippo Mazzei [https://formiche.net/2016/12/filippo-mazzei-italia-estero-ministro-poletti/ ], è un altro che merita una citazione, considerato che – attraverso l’amicizia con Thomas Jefferson – influenzò la Costituzione USA. Anche se non lo ammise esplicitamente, l’approvazione della Costituzione di Filadelfia dimostrò ai suoi occhi che neppure l’America è stata capace di realizzare una vera democrazia il cui fondamento sia l’autogoverno dei cittadini, e degli Stati che la compongono. Per convincersene  [https://www.amazon.it/Federalismi-falsi-degenerati-Gianfranco-Miglio/dp/8820024012 ] basta leggere il libro di Gianfranco Miglio: “Federalismi falsi e degenerati”

 

Il 6/5/1776 Mazzei pubblica le “Istruzioni dei possidenti della Contea di Albemarle ai loro delegati alla Convenzione, dove tra l’altro scrive: «Che le leggi fatte dai nostri rappresentanti non possono essere dette, né devono essere, leggi del Paese fintanto che non saranno approvate dalla maggior parte del popolo. […] È una verità incontestabile che un Paese non è libero se tutti i suoi abitanti non partecipano ugualmente al diritto di governare. […] C’è qualcosa di veramente magico in quel vocabolo “rappresentanza”. Ha servito finora ammirabilmente ad accecare la maggior parte del popolo per tenerlo nella più perfetta ignoranza dei propri diritti e fargli credere di essere libero mentre la sola meschina porzione di libertà da esso goduta è stata quella di scegliersi i padroni.» (attraverso le elezioni Ndr)

 

Com’è possibile che questa, ed altre lezioni analoghe che ci vengono dal passato siano del tutto ignorate in questo Paese? Quanto alla cosiddetta democrazia diretta, essa non deve intendersi come un esercizio compulsivo della sovranità popolare, bensì come uno strumento di “deterrenza” utilizzabile ogni qual volta i rappresentanti agiscono in disarmonia con la maggioranza dei cittadini.

 

Veniamo, dunque, ai giorni nostri e domandiamoci se è democraticamente accettabile che un Sindaco eletto (e quindi il rappresentante non il sovrano) da un cittadino su quattro sia depositario di un potere senza limiti? Intendiamo [https://www.vicenzareport.it/2018/10/vicenza-gianfranco-vivian-alla-guida-di-aim/ ] riferirci alla vicenda della holding sulle partecipate Aim, dove è stato nominato amministratore unico un personaggio (https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/07/19/mafia-vicenza-otto-in-cella.html, sicuramente uscito a testa alta da questa storia, ndr)  con il mandato a fondere-svendere la proprietà dei cittadini. Non è bastata all’amministrazione comunale di Vicenza la prova vacua di Matteo Marzotto  [http://ildubbio.news/ildubbio/2018/11/16/fiere-ieg-matteo-marzotto-si-dimette-prosegue-iter-per-quotazione/ ] nella vicenda: fusione-svendita della Fiera di Vicenza?

 

Tralasciamo il fatto che specialmente dalle Aim il Comune di Vicenza ha sempre tratto sostanziosi utili per rimpinguare le esangui casse del capoluogo, per soffermarci sulla debolezza della giustificazione a svendere-fondere le Aim con l’omologa azienda veronese, perché quanto afferma il Sindaco Francesco Rucco: «affinché rimanga e diventi anzi sempre più protagonista nei mercati.» per ribadire come la questione del “gigantismo” che si otterrebbe dall’aggregazione delle due aziende pubbliche non sembra convincente.

 

Leopold Kohr [https://it.wikipedia.org/wiki/Leopold_Kohr ], nel 1957 ha pubblicato un libro con il titolo The Breakdown of Nations. tradotto in italiano nel 1960. Quest’opera costituisce una straordinaria riflessione sulle ragioni universali della superiorità dei sistemi fondati sulle piccole unità piuttosto che sulle grandi. Leopold Kohr utilizza una grandissima quantità di argomenti filosofici, scientifici, storici, politici, economici e sociologici per dimostrare come un sistema basato sull’equilibrio di tanti piccoli staterelli (vale anche nel caso di piccole aziende pubbliche) possa garantire molto più che un sistema basato su poche grandi entità, per la fioritura culturale ed economica.

 

Al cuore della riflessione di Leopold Kohr vi è la teoria delle dimensioni, secondo cui la causa di quasi tutte le miserie sociali è una sola: la grandezza. Per Kohr il raggiungimento di dimensioni eccessive non rappresenta uno dei tanti problemi sociali, ma è l’origine di ogni problema dell’universo. Ad esempio, le stelle esplodono quando raggiungono una dimensione eccessiva perché hanno superato i limiti invalicabili dell’espansione della materia; il corpo umano si ammala di cancro perché un gruppo di cellule ha cominciato a svilupparsi oltre i limiti fissati dalla natura; analogamente, se un organismo sociale si lascia prendere dalla febbre dell’aggressività, della brutalità o da una follia collettiva, spiega Kohr, «ciò avviene non perché esso sia caduto sotto un cattivo governo o sia colpito da aberrazione mentale, ma perché gli individui – che sono così amabili se presi uno ad uno o in piccoli gruppi – si sono fusi in unità sociali eccessivamente vaste, come le masse proletarie, i grandi sindacati, i cartelli, o le grandi potenze, incominciando quindi a scivolare lentamente verso un’inevitabile catastrofe» (p. 10).

 

Se una società supera le dimensioni che più le si addicono, i suoi problemi finiscono per moltiplicarsi con una rapidità maggiore della capacità umana di affrontarli. Oltre una certa dimensione i problemi economico-sociali diventano assolutamente ingestibili e irrisolvibili. L’unica soluzione, per lo studioso austro-americano, è quindi quella di ridurre i problemi a una grandezza accettabile, rimpicciolendo gli organismi che, sviluppandosi, hanno superato i loro limiti naturali. Non bisogna creare unità sociali ancora più vaste e governi ancora più potenti, come auspica la grande maggioranza degli uomini politici e degli scienziati sociali, ma piuttosto eliminare quegli organismi sovra sviluppati e restaurare un sano sistema di piccole entità facilmente controllabili, come quelle che hanno caratterizzato certe epoche passate.

 

A confermare questa teoria si può rilevare che nonostante la crescita zero nel secondo trimestre del 2014, la “piccola” Svizzera è il paese più competitivo al mondo. Secondo il World economic forum la Svizzera si tiene stretto il suo primato per il sesto anno consecutivo. I suoi punti di forza sono: “la trasparenza delle istituzioni, la capacità di innovazione e ricerca, la buona cooperazione fra il settore pubblico e privato, l’efficacia del mercato del lavoro, il sistema educativo e l’infrastruttura.”

 

Kaspar Villiger (per 2 volte Presidente CH – https://it.wikipedia.org/wiki/Kaspar_Villiger ) qualche anno fa scrisse: «Il federalismo svizzero vive del principio sancito nella Costituzione. È la sussidiarietà verticale istituzionale, dal basso verso l’alto: quello che non può fare il singolo cittadino lo fa il Comune, ciò che non può fare il Comune lo fa il Cantone e quello che non fa il Cantone lo fa la Confederazione. Questo enorme vantaggio svizzero funziona solo se chi decide la spesa è anche colui che decide le imposte. In altre parole, si tratta di ciò che il popolo svizzero accettò a larghissima maggioranza nel 2004 nell’ambito degli articoli costituzionali per la nuova perequazione finanziaria e il nuovo riparto dei compiti tra Confederazione e Cantoni. In una frase: chi comanda paga, chi paga comanda.» Nella Repubblica di Venezia questo sistema funzionò per circa 1.100 anni.

 

Ora, perché un Sindaco che rappresenta un cittadino su quattro (è così da molte legislature) esercita un potere illimitato sulle proprietà di tutti i 111.620 vicentini, che anche attraverso i propri avi sin dal 1906 hanno pagato l’istituzione delle Aim? E qui vorrei suggerire per l’ennesima volta la lettura e l’interpretazione dell’Articolo 49 della Costituzione italiana: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

 

In questo articolo di sole venti parole le chiavi sono “diritto”, ovvero tutti i cittadini hanno diritto a costituirsi in partiti, non l’obbligo. Mentre le altre due parole chiave sono: “per concorrere”, vale a dire che se i partiti politici contribuiscono a concorrere, chi sono gli altri “concorrenti” e “contributori” (?) che partecipano alla determinazione della politica nazionale se non i cittadini stessi in prima persona attraverso gli istituti di partecipazione popolare; che nel caso specifico dovrebbe essere un referendum senza quorum confermativo o meno, considerato che quelli “consultivi” sono, sic et simpliciter, solo un furto di democrazia?

 

Oppure al Comune di Vicenza si vogliono rinverdire i “fasti” fallimentari del CIS (Centro Intermodale Servizi) dove a fallire furono i sindacalisti promossi a imprenditori; della Società Aeroporti Vicentini Spa dove a sbatterci il grugno fu un disinibito politico di lungo corso; oppure alla più recente débâcle del golden boy di una storica famiglia imprenditoriale vicentina, che proprio in questi giorni ha avuto la destrezza di dimettersi dalla fu Fiera di Vicenza? Beninteso, il tutto a spese dei contribuenti vicentini.

 

Come constatazione conclusiva vorrei ricordare ai lettori quel famoso aneddoto sull’aquila che credeva di essere un pollo. Il magnifico rapace, catturato quand’era un pulcino, venne costretto a razzolare insieme ai pennuti di un pollaio. Crescendo, e pur conservando il suo magnifico e regale piumaggio, l’augusto volatile seguitò a comportarsi come gli era sempre stato “insegnato”, cioè da gallina. Nel celebre best seller di Anthony de Mello, la metafora si è fatta titolo: messaggio per un’aquila che si crede un pollo. Ecco, ora immaginate di essere voi i polli. Questa è una cattiva notizia. Ma ce n’è anche una buona: siete, nello stesso tempo, anche le aquile, nel senso che la vostra è una sindrome da indottrinamento curabile e guaribile.  Aristotele diceva: «è vera democrazia quando sono gli indigenti a governare e non i potenti».

 

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