Eccoli. Disco rotto da 50 anni…. Il Sud non lo aiutiamo abbastanza, il Sud è povero, il Sud è dimenticato. Vero. Dalla magistratura, innanzitutto, che non va a vedere che fine hanno fatto (è notizia di ieri, ndr) che fine abbiano fatto i fondi europei distorti. Ad esempio. Ma non ve lo ricordate su Radio 24 il sindaco di Mazzara del Vallo quando lamentava il fatto che al museo che conserva un importante Satiro, la Regione Sicilia (è Sud, vero?) avesse destinato la bellezza di 25 lavoratori, in 100 e poco più metri quadrati di sala. E non erano abbastanza tanto che i festivi chiudevano. Così, il Comune, doveva provvedere con uomini propri.
Una eccezione? Forse, come i bilanci di 300 comuni siciliani commissariati… poco tempo fa, non al tempo di Garibaldi ferito. O che dire delle spese di rappresentanza a Bruxelles per gli uffici regionali del Sud? Ma il Sud resta povero.
Insomma, intendiamoci, lì c’è un altro Pil. E un altro modo di lavorare. Ma il piagnisteo che arriva appena l’Istat diffonde i dati sulla povertà, è la solita carità pelosa della politica. I dati Istat vedono nel sud Italia il 46,2% dei cittadini a rischio povertà?
Mai girato per la Caritas a Milano?
Abbiamo letto, e scritto su questo giornale, che “a partire da una situazione nazionale che vede oltre 6 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta, la Lombardia, tra le regioni che vantano tradizionalmente maggiori indici di benessere, manifesta difficoltà crescenti nel contenimento delle nuove povertà. Su due milioni di poveri nel Nord Italia, circa 700.000 sono in Lombardia (+ 7%): il Banco Alimentare della Lombardia riesce ad assistere 236.000 persone”. Solo al Nord, 2 milioni di poveri certificati. Ma l’Istat dice che sono tutti al Sud. Ah… ok.
Dopo l’uscita dell’ennesima tabellatura Istat delle povertà, ci eravamo permessi di scrivere che il potere d’acquisto del Nord erode i salari fino a ridurre il loro peso reale. Non avevamo fatto sforzi ideologici, ci era bastato, e lo rifacciamo ora, riprendere lo studio inattaccabile della Bocconi:
“L’Istat nel suo rapporto sulla povertà che dice adesso? Che nel 2013 è risultata pari al 21,4% e corrisponde a una spesa media equivalente delle famiglie povere pari a 764 euro mensili; nel 2012 era di 793,32 euro mensili. Inutile ripetere che vince il Mezzogiorno nella media dell’Istat, la povertà cresce del 23,5%, rispetto al 2012 (era il 21,4%). Ma nel Nord e nel Centro, dove la spesa media mensile equivalente delle famiglie povere è più elevata (capirai…. 801,79 e 800,29 euro rispettivamente), l’intensità risulta pressoché stabile intorno al 17,6%. Giusto per non ricordare che il potere reale d’acquisto va calcolato anche sui poveri, non solo su chi ha una busta paga vera. L’ultimo studio è del giugno scorso.
Nel confronto tra Nord e Sud secondo gli economisti Tito Boeri (Bocconi), Andrea Ichino (European University Institute) ed Enrico Moretti (Berkeley), il Sud sta meglio. Nel loro lavoro, “Costo della casa e differenze salariali in Italia”, emerge con gravità la diversa velocità di spesa in particolare per la prima voce nel bilancio delle famiglie, la casa, che influenza e cambia radicalmente il costo della vita in una specifica area geografica, generando un “effetto trascinamento” per tutti gli altri acquisti (sia di beni che di servizi).
Dicono infatti Boeri, Ichino e Moretti, che, a parità di salari, alcune province del Sud hanno più potere d’acquisto.
I salari reali di Ragusa sono più alti di quelli di Milano del 38%, per via del minore costo della vita. Se volessimo metterci al pari, spiegano i professori, per avere lo stesso potere d’acquisto, le retribuzioni a Milano dovrebbero crescere del 37% per un bancario e del 48% per un insegnante.
Fatti due conti, dove si guadagna di più in termini di potere d’acquisto? Dove vivere costa meno. Ovvero Caltanissetta, Crotone, Enna; mentre le ultime si concentrano al Nord: Sassari, Aosta e Milano.
“L’uguaglianza dei salari nominali – ha commentato Andrea Ichino – anche se è preferibile, vista la preferenza collettiva per l’equità, genera di fatto ineguaglianze, rendite, sconfitti e vincitori”.
E allora andiamo avanti a leggere l’Istat: ” L’aumento della povertà relativa tra le famiglie più ampie si osserva sia nel Nord (dove a peggiorare è soprattutto la condizione delle coppie con tre o più figli, per le quali l’incidenza passa dal 13,6% al 21,9%), sia nel Mezzogiorno (l’incidenza tra le coppie con tre o più figli minori passa dal 40,2 al 51,2%), mentre nel Centro ha colpito soprattutto le coppie con due figli (dall’8,8 al 12,7%), e con almeno un figlio minore (dal 10,3 al 13,4%). Nel Nord migliora invece la condizione dei single con meno di 65 anni (dal 2,6 all’1,1%, in particolare se con meno di 35 anni), che si attestano sui livelli osservati nel 2011, a seguito del ritorno nella famiglia di origine o della mancata formazione di una nuova famiglia da parte dei giovani in condizioni economiche meno buone”.
Cioè, se non capiamo male, si torna o si resta in casa con i genitori anziani. Trippa non ce n’è.
Nel Mezzogiorno, invece, migliora la condizione delle coppie con un solo figlio (dal 31,3 al 26,9%), con a capo un dirigente e un impiegato (dal 16,4 al 13,6%)”.
http://www.lindipendenzanuova.com/istat-nord-poverta-crescita/
Eppure alla carrellata Istat, i commenti dei politici o delle associazioni per sostenere il Sud si sprecano. “Per anni i politici italiani e i governi che si sono succeduti hanno abbandonato al loro destino le regioni del sud Italia, e il risultato è un livello di povertà insostenibile per un paese civile – affermava il Presidente Codacons – Praticamente nel Mezzogiorno un cittadino su 2 è a rischio povertà, ma sono anche gli altri indicatori economici a destare forte preoccupazione: basti pensare che nel sud il Pil e’ calato nel 2013 del -4%, il doppio rispetto alla media nazionale, e che nelle regioni del Mezzogiorno il reddito medio annuo è inferiore di oltre il 28% rispetto a quello del resto d’Italia”. “Senza un cambio di rotta il paese non riparte – prosegue Rienzi – Il Governo deve attuare una seria politica di rilancio del sud Italia, fatto di investimenti e di legalita’, perche’ salvare le regioni piu’ povere equivale a salvare l’intero paese”.
La metà delle famiglie residenti in Italia ha percepito, nel 2012, un reddito netto non superiore a 24.215 euro l’anno (circa 2.017 al mese). Nel Sud e nelle Isole il 50% delle famiglie percepisce meno di 19.955 euro (circa 1.663 euro mensili). Il reddito mediano delle famiglie che vivono nel Mezzogiorno è pari al 74% di quello delle famiglie residenti al Nord (per il Centro il valore sale al 96%). Ma se non si parametra il reddito al costo della vita, di cosa stiamo parlando?
Secondo lo studio prima citato e mai confutato, per vivere a parità di condizioni di spesa, al Nord occorrerebbe avere salari più alti più di un terzo o quasi della metà per competere con chi vive al Sud. E allora, qualcuno è povero di spirito e in perenne malafede se continua a spacciare come assoluti i valori raccolti dall’Istat. Ma, si sa, il potere del voto di scambio e la fame della politica possono più di qualunque altra cosa…..
Presidente Indipendenza Lombarda