di CHIARA BATTISTONI – Di campagne elettorali ho fatto in tempo a viverne molte; ricordo quelle di fine anni Settanta con la minaccia (perché per me è sempre stata una grave minaccia) del sorpasso comunista, quando le città finivano inondate di volantini e manifesti, perché allora si usava così e così si informava l’elettore; ricordo le campagne degli anni Ottanta e Novanta, sempre più “tecnologiche” sempre meno ricche di contenuti, appiattite sui programmi ma prive di idee davvero innovative (fatta eccezione per i contributi dirompenti dell’allora Lega Nord per l’Indipendenza della Padania), capaci di risvegliare l’elettore dal suo torpore democratico.
Essere cittadini oggi è molto più difficile di quanto ci immaginiamo; in un mondo complesso che cambia rapidamente è difficile scegliere, è complicato essere davvero in-formati, è impegnativo costruirsi idee su cui fondare le proprie scelte di vita.
Ci ricorda Michael Novak «vivere bene in una società libera è molto più impegnativo che vivere in una società socialista o tradizionale: occorre trovare nuove risorse morali dentro di sé, mettere insieme iniziative, assumere rischi ponderati
ed essere pronti a perdere tutto per creare qualcosa di nuovo; solo così si produ-ce nuova ricchezza. Essere una persona che governa se stessa in una società libera è moralmente più impegnativo che vivere nella soggezione in uno Stato comunista o in una società dittatoriale tradizionale. Avere padronanza delle virtù richieste da una democrazia vitale richiede notevoli sforzi personali e sostegno istituzionale: alcuni hanno chiamato queste virtù politiche “repubblicanesimo
civile”, ma più che il termine è importan-te la sua pratica quotidiana. Tra le virtù fondamentali per una democrazia ci so-no disposizioni come la cortesia, la re-sponsabilità personale, lo spirito cooperativo, lo spirito di compromesso (attra-verso cui ciascuno, al cospetto di quante più scelte a somma zero possibili, ci guadagna un po’) e l’abitudine all’opposizione leale anziché la volontà del male reciproco». (daNoi, voi e l’Islam,pagg. 75-76, Liberal edizioni).
La libertà che ci è stata data dalle generazioni che ci hanno preceduto, che per noi hanno perso la vita è un dono prezioso da rinnovare e coltivare ogni giorno, con coraggio e impegno. Il mito della sicurezza, sicurezza sociale, economica, politica è appunto un mito, messo anch’esso a dura prova dai cambiamenti repentini del mondo. Quando pretendiamo la casa oppure il posto fisso e lo chiediamo allo Stato mettiamo nelle sue mani il nostro destino; ci lasciamo guidare e plasmare da un ente che non ha e non dovrebbe avere vita a sé stante, perché lo Stato siamo noi, come tante volte hanno ricordato Ronald Reagan e Gianfranco Miglio. Potremmo chiamarla la ”sindrome del riccio”: è quella che ci colpisce quando preferiamo chiuderci a riccio nelle nostre certezze (poco importa poi se ogni giorno queste certezze si affievoliscono, sotto la spinta di forze esterne che non possiamo e non sappiamo ancora arginare), quando preferiamo rinunciare a costruire il nostro futuro Scrive ancora Michael Novak nel suo ultimo libro più volte citato (pag. 86): «La solidarietà non è un’attività impersonale che porta a di-sperdersi in gruppi di pensiero che spari-scono nella collettività. Essa indica al tempo stesso la responsabilità personale, l’iniziativa del soggetto umano e la co-munione con gli altri. È esattamente il contrario di ciò che il socialismo intende1va con “collettivizzazione”. La solidarietà non mitiga la coscienza individuale, ma piuttosto la risveglia. Essa evoca la
responsabilità, allarga la visione personale e unisce il soggetto responsabile con tutti gli altri».