di Stefania Piazzo – Dobbiamo fare nostre le parole con le quali Fabio Cavalera, collega che ben rappresenta l’Ordine dei giornalisti, commenta sui social come i media affrontano la notizia dei focolai di coronavirus. Cavalera parla, a ragione, di abuso di parole. La responsabilità di comunicare, in momenti come questi in cui fare giornalismo si carica soprattutto di una responsabilità sociale cruciale per la sicurezza e l’ordine pubblico, deve tornare ad essere il solo punto di riferimento. La verità sostanziale dei fatti, non è un opinione, è giornalismo.
di Fabio Cavalera
#coronavirus ottimo Sergio Harari sul Corriere: «é importante che fake news e comportamenti da panico siano azzerati». «La grande maggioranza dei pazienti guarisce senza complicanze e la mortalità è bassa, molto più bassa di altre malattie».
Fra Lombardia e Veneto 15 milioni di residenti, 106 casi per ora (89 in Lombardia, 17 in Veneto più 2 in Emilia, 2 in Lazio, 1 in Piemonte), due morti. Aumenteranno, non c’è dubbio. Servono di certo misure severe, efficaci, immediate e forse impopolari ma serve anche che i professionisti della manipolazione vengano messi in quarantena. Un’occhiata a certe prime pagine offre la dimensione di come generalizzazione, banalizzazione, strumentalizzazione e ignoranza portino a titoli che causano paura e ansia, pieghino la realtà, generino caos informativo utile solo ai mestatori e agli stupidi.
Ancora bene il Corriere che si attiene alla cronaca in prima pagina.
Per il resto ognuno giudichi come vuole. Dal Fatto a Repubblica, dal Messaggero alla Stampa, dal Resto del Carlino al Gazzettino, abuso di parole: assedio, stato d’assedio, città chiuse, paralisi…
C’è un’emergenza sanitaria, ci sono le strutture e le intelligenze per affrontarla. Non l’intelligenza e la sensibilità dei titolisti di certi quotidiani.