di CORRADO CALLEGARI – La notizia è questa. L’abbattimento di una parte del villaggio sinti a Favaro Veneto, fortemente voluto dall’allora sindaco Massimo Cacciari nel 2009. Nel frattempo, delle circa 150 persone che vi abitavano, non c’è quasi più nessuno. La stampa parla di 38 casette prefabbricate, 14 vuote e 5, le più degradate, destinate alla demolizione. Il villaggio? Nel frattempo i sinti si sono integrati: elettrodomestici abbandonati, cumuli di immondizie, a fianco di casette invece ben curate nonostante il contesto ambientale. Storie di ordinaria politica di inclusione, con ricorsi, controricorsi al Tar e al Consiglio di Stato.
Allora l’insediamento era stato vissuto dal primo cittadino come “una scelta di civiltà”. A quel tempo ero segretario provinciale della Lega Nord veneziana e mi opposi con tutto me stesso al progetto. Ci fu una grande mobilitazione popolare, chiesi in alternativa di destinare le strutture agli anziani, alle famiglie più bisognose, ma non ci fu nulla da fare. Ci fu poi nel 2011 una raffica di arresti nel villaggio voluto dal primo cittadino. Era talmente un gioiello di integrazione che ci fu un blitz, essendo Mestre epicentro di una una operazione contro i furti nel Nord Italia condotta dai carabinieri di Venezia, che portò a 30 ordinanze di custodia di cui 14 nel villaggetto voluto da Cacciari. Fu un caso il trasferimento di quell’anno del prefetto di Venezia, arrivato pochi mesi prima?
Come in tutte le cose, è solo questione di tempo. Il merito ora va ai ruspisti della “prima ora”, quelli che tirano giù tutto perché hanno il 30% dei sondaggi. Una volta, non tanto tempo fa, era più difficile “demolire”, ma le demolizioni partivano dal territorio, non dai balconi di piazzale Venezia o di Palazzo Chigi. La gente si mobilitava, per davvero, non su facebook, ma in piazza. Manifestava, non partecipava alle adunate semioceaniche di acclamazione del profeta.
Ruspa o non ruspa, arriveremo a Roma, malgrado voi, sembrano dire oggi le nuove generazioni. A Roma ci sono. Sul territorio restano le macerie, accanto ai sinti che peraltro se ne sono già andati.