di STEFANIA PIAZZO – Che la democrazia rappresentativa e “sovrana” sia in crisi è evidente. Oggi siamo rimbambiti da forme “dirette” di rappresentanza, come le dirette su facebook. Basta la rete per comunicare. La sovranità del popolo va a farsi benedire quando le nuove figure professionali sono gli influencer e i blogger. Quindi, aboliamo anche l’Ordine dei giornalisti, non prima di aver superato il Parlamento, come afferma Casaleggio.
In alternativa, per far credere che ci si possa riappropriare di quello che ci è stato tolto, ecco il sovranismo.
Siete d’accordo? Intanto togliamo di mezzo l’accesso alla professione giornalistica come invoca Crimi, sottosegretario all’Editoria dei 5 Stelle? Se sì, allora lo facciamo anche per i medici. Gli ingegneri, gli avvocati. Ci fidiamo sulla parola che abbiano imparato un mestiere. Nessuno sarà più perseguibile per diffamazione per quello che scrive, come accade oggi sui social. Nessuna deontologia, nessuna regola. Rutto libero per tutti. E i politici? Più o meno uguale.
E’ la rete la nuova religione civile e andrà a sostituire la statolatria che a dire il vero ha già fatto passi da gigante celebrando se stessa con le parate. Prima hanno tolto di mezzo i santi, le feste comandate, poi ci hanno messo al loro posto i fori imperiali e le frecce tricolori. Mi pare che il nuovo impero sia ben delineato.
Il dibattito sul doppio lato della medaglia democratica, diritto di parola a tutti, compresa l’elezione di tutto il peggio possibile in una società in decadimento culturale, in un mondo piatto e non più tondo per citare Marchionne, è un dibattito che sta trovando attenzione tra media, intellettuali, studiosi della società e della politica.
In Svizzera, ad esempio, il sistema sembra reggere nonostante tutto a lungo perché non si governa in eterno, perché la presidenza della confederazione è a rotazione, perché sono federalisti e chi è responsabile del malgoverno va a casa subito, perché con i referendum davvero il popolo elvetico decide, e la politica si adegua di corsa. Ma in Svizzera il senso civico, l’educazione civica sono un fondamento della loro democrazia e i cittadini sono cittadini consapevoli, non arrivano giù con la piena dalle valli.
In Italia, ma non solo in Italia, le cose vanno diversamente. Tanto che ci si sta rendendo conto che non vengono eletti i migliori bensì quelli che sanno sfruttare gli istinti bassi delle piazze, la fretta di giustizialismo, le scorciatoie per sistemare con l’uomo della provvidenza un paese nato storto. Il livello scolastico è sceso a un pressapoco, basta collegarsi ai quiz in tv, o ai grandi fratelli per sgranare gli occhi davanti a tanta arrogante ignoranza scolastica elementare su geografia, storia, date, eventi. Un mondo diverso ci separa da quello da cui scolasticamente e civicamente arriviamo. Con netta evidenza. Cosa voterà un ignorante? Un politico ignorante. Cosa leggerà un ignorante? Nulla. La sua consapevolezza dove si forma?
Mai sentito parlare di epistocrazia?
Questa deriva al ribasso del potere, ci interroga sul peso del voto, sulla consapevolezza del voto, sul valore del voto. Se devo dare una macchina in mano ad un ubriaco vado a sbattere. E stiamo andando a sbattere tutti i giorni.
L’epistocrazia sarebbe il governo non più del popolo, ma di chi ha più mezzi di conoscenza rispetto a chi ignora le regole basilari per governare. Spiegato in modo più o meno grossolano! Un governo di persone più competenti, con il voto in cui chi più sa, magari ha un peso diverso. Non si tratta di smontare il suffragio universale, ma di selezionare con cura la propria elitè.
Afferma lo studioso Jason Brennan che il fatto di eleggere politici ignoranti produce a sua volta sudditi altrettanto analfabeti di ritorno. Verranno votati i più telegenici, quelli che sono più diretti e parlano come mangi proponendo soluzioni taumaturgiche. Aboliremo tutto, ricostruiremo tutto.
Con l’epistocrazia “… i diritti politici non sarebbero uguali per tutti. Alcuni cittadini dovrebbero avere un potere di voto aggiuntivo e il voto politico dovrebbe essere limitato a coloro che superano un test elementare di conoscenza dei fatti politici rilevanti. Un’idea che era stata già pensata da un indiscusso democratico come John Stuart Mill”. (da Il Foglio, Gilberto Corbellini 9 agosto 2016, La democrazia dei dotti).
Basta leggere la semplice recensione al libro di Brennan per iniziare a farsi delle domande…
È stato detto che la democrazia sia la peggior forma di governo, ad eccezione di tutte le altre fin qui sperimentate. Ma se la concezione relativistica dei regimi democratici come “male minore” appare in molte analisi e teorie moderne, da Machiavelli a Sartori, passando per Weber e Schumpeter, nessuno prima di Jason Brennan aveva sottoposto a un processo altrettanto spietato la “miglior forma di governo possibile”. A giudicare dai risultati, infatti, il regime che dovrebbe garantire a tutti i cittadini il diritto di essere guidati da leader competenti e capaci di prendere decisioni ponderate, somiglia troppo spesso al regno dell’irrazionalità e dell’ignoranza: molti elettori compiono le loro scelte sulla base dell’emozione o del pregiudizio, non conoscendo neanche, in numerosi casi documentati, la forma di governo vigente o addirittura i nomi dei leader in carica.
Quale alternativa abbiamo, allora? Come superare gli inconvenienti della democrazia se non vogliamo esporci ai rischi che comporterebbe la concentrazione del potere nelle mani di pochi? La proposta di Brennan è di sperimentare una forma di governo “epistocratica” che sia compatibile con parlamenti, elezioni e libertà di parola, ma distribuisca il potere politico in proporzione a conoscenza e competenza. Contro la democrazia, che ha diviso specialisti e lettori e creato enorme dibattito in un campo in cui c’è urgente bisogno di idee e stimoli nuovi, è un libro che può illuminare o fare infuriare, da conservare gelosamente o da lanciare contro il muro, ma che in ogni caso non può essere ignorato.
Sono concetti difficili? Mah, proprio perché ci si accontenta al ribasso, c’è chi governa al ribasso.