A breve il Veneto dovrà, si spera, potersi esprimere sulla propria autonomia. Sempre più indipendenti sì o no rispetto a Roma? Un voto consultivo, mentre se c’è un’area del paese che sembra riprendere vitalità nonostante la crisi nera, quello sembra essere proprio il Nordest. Da sempre l’indipendentismo in Veneto ha avuto maggiori fortune avendo la possibilità di camminare su due gambe: quella identitaria, linguistica, e quella economica. Come avvenuto in Scozia, in Catalogna e non ancora invece in Lombardia, dove lo spirito liberale prevale su quello culturale identitario. E si vede.
Campane a festa…
Nel tempo, la società ha preso posizione. Lo fece in modo clamoroso la prima volta quando i Serenissimi, fu la volta dei santissimi. Nel gennaio 1999, i settimanali diocesani del triveneto, sbaragliando la politica fallimentare della Bicamerale, se ne uscirono col documento “Ricominciamo da 57”. Evocava l’articolo che apriva la strada a forme di autonomia regionale. Il mondo cattolico, di fatto, si era messo di traverso rispetto allo Stato della conservazione e del potere. Ma la stampa diocesana, tornò a dire la sua nel 2001, con una lettera a febbraio a tutti i parlamentari, per chiedere l’approvazione della riforma del titolo V della Costituzione: “Tale riforma costituzionale pur lacunosa, consentirebbe l’avvio della “stagione costituente” degli statuti regionali i quali, altrimenti, non possono decollare (…). Senza la nuova cornice costituzionale verrebbe meno la possibilità per le Regioni a statuto ordinario di riscrivere i propri statuti in chiave autonomista e federalista tale da valorizzare le capacità di autogoverno delle comunità locali… L’opinione pubblica è stanca di registrare solo parole e proclami e ritiene invece che sia il tempo di misurare l’evoluzione delle istituzioni democratiche verso processi sempre più vicini ai cittadini”.
Meglio che niente però…
Dopo l’approvazione, su “Gente Veneta”, uscì un editoriale sul testo varato: non la perfezione, “ma è un primo importante traguardo… Insomma, questa riforma costituzionale, pur minima, è la premessa per ogni ulteriore processo di cambiamento dello Stato verso vere forme di autonomia”. Che però non arrivarono mai.
Arrivarono invece le scomuniche quando, davanti a 50 anni di Repubblica del nulla, il Veneto prese in mano il proprio destino, alzando la voce:
Nel 2014, i direttori dei settimanali diocesani del Veneto, uscirono con una lettera congiunta:
“Lo confessiamo: non abbiamo votato al referendum on line per la separazione del Veneto dall’Italia. Stando ai numeri, almeno un elettore veneto su due avrebbe aderito alla proposta di staccare la nostra regione dal resto del Paese….
La scomunica
L’esito di questo referendum-sondaggio non va sottovalutato. Si aggiunge ai tanti indicatori di un malessere diffuso anche in Veneto. Si tratta di un disagio amplificato da una crisi economica che non trova soluzioni immediate, da uno Stato centrale che appare, a molti, sempre più lontano, da una politica che fatica a riguadagnare la china della credibilità. E così si affaccia all’orizzonte “la questione veneta” dopo che per più di vent’anni ha tenuto banco la questione settentrionale senza, peraltro, ottenere nulla di significativo.
Il voto venetista s’inquadra in un contesto europeo dove spira un vento freddo nei confronti degli stati nazionali e gelido nei confronti dell’Europa.
Cari direttori, quale vento freddo? Gli stati nazionali non esistono più, la loro sovranità è stata completamente ceduta a Bruxelles nel patto fiscale. Sono scatole vuote di gestione del potere locale. L’indipendentismo non è una malattia, non è terrorismo. E’ diritto all’autodeterminazione.
“Il referendum segnala una difficoltà esistente e persistente alla quale vanno date risposte politiche. A tale riguardo va detto, senza timori e tentennamenti, che quello indipendentista è un progetto sbagliato, antistorico e impraticabile. Il prerequisito per qualsiasi proposta che punti a una risposta al grido che viene dai nostri territori è che sia credibile e percorribile e non inganni nessuno. Il disegno venetista non appare né credibile, né percorribile. Oggi più che mai, mentre il “miracolo del Nordest” ci appare già malinconicamente alle spalle, dobbiamo avere la consapevolezza che l’attuale crisi può essere vinta e superata solo se si è tutti uniti. L’Italia ha bisogno del Veneto e dell’Europa e il Veneto dell’Italia e dell’Europa”. Di quale Italia e cosa si intende per Europa?
“Gli scandali di questi ultimi anni, sull’uso di denaro pubblico che da Nord a Sud hanno attraversato molti Consigli Regionali e non solo, hanno evidenziato il fallimento delle Regioni proprio di fronte alla prova di una rinnovata e maggiore responsabilità. Nonostante questo restiamo convinti che il futuro dell’Italia passi per una compiuta riforma federalista, che sappia valorizzare ogni livello istituzionale secondo quel principio di sussidiarietà che tanti, a parole, evocano ma che è rimasto fin qui sostanzialmente ignorato nei fatti. Per vent’anni la politica ha saputo partorire solo riforme parziali o grossolane, dal titolo V alla “devolution”, mentre i problemi si acuivano. È tempo di una svolta sostanziale. Ma per tutto questo serve una politica davvero vicina alla gente, che metta al centro la ricerca del Bene comune, il rispetto della legalità, l’efficienza della macchina pubblica”. E da dove arriva? Dai partiti centralisti, anzi, dal neocentralismo che avanza?
Ma a questo punto, dopo l’ennesimo deflagrare del terrorismo che affonda le mani proprio nella perdita di identità e nel fatto che l’Europa di cui ci si riempie la bocca sia un’accozzaglia di regole bancarie e fiscali, che non ha portato vantaggi ad alcuno (lavoro? sviluppo? pace? benessere? sicurezza?), come mai dai campanili non è uscito con altrettanta veemenza un altro documento comune, a reti unificate, di condanna all’islam violento e un richiamo alla necessità di alzare la guardia, ovvero prendere coscienza della propria identità non solo cristiana ma territoriale, per difendere gli argini della libertà? Silenzio. Anzi, meglio ospitare le preghiere a Maometto e chiedere la costruzione delle moschee. E’ proprio vero la libertà va conquistata e pure meritata.
Presidente Indipendenza Lombarda