di Corrado Callegari – Sono i dettagli che fanno la storia. Nel settembre 1996 eravamo sul Po e poi a Venezia, nel più grande evento popolare di una tentata rivoluzione democratica, quella che rivendica l’autodeterminazione dei popoli. Pochi giorni dopo ci fu l’irruzione della Digos in via Bellerio. Nel gennaio 1997 nasceva il quotidiano La Padania, nella necessità di spezzare l’informazione omologata al sistema. Negli stessi giorni, esplodeva la rabbia per le quote latte e tra Vancimuglio e Linate, i cobas gridavano la loro verità. Il Paese era sulla soglia di un cambiamento epocale. Tremavano i muri.
Pochi mesi più tardi, a maggio, ci fu l’inaspettato assalto al Campanile. Fu un tuono, un lampo, fu il simbolico muro del suono infranto in un baleno.
L’assalto al campanile iniziò col sequestro di un ferry boat per trasportare il tanko a San Marco. La notizia fece il giro del mondo, la Cnn aprì il notiziario, mentre l’allora sindaco Cacciari cercò di mediare tra gli “occupanti” e le forze dell’ordine. Erano otto uomini, che vennero poi tutti arrestati: Gilberto Buson (nella foto a destra con Corrado Callegari, ndr), Flavio Contin, Fausto Faccia, Antonio Barison, Christian Contin, Luca Peroni e Andrea Viviani, Moreno Menini.
Ecco! In meno di un anno c’è tutta la storia, direi spezzata, di un percorso ancora oggi aperto, appassionante, doloroso, coraggioso, estremo, folle di conquistare la libertà.
Noi ricordiamo non solo una data, in quella incredibile vicenda che venne processata, bollata, anzi, liquidata ondivagamente dalla stessa Lega come frutto di servizi deviati. Per lo Stato si era consumato il peggiore dei reati. Il giudizio, lo abbiamo visto, non lo hanno dato i processi, gli esiti giudiziari, ma la storia.
La storia di questi 23 anni non celebra “qualcosa”, ma ci interroga su un solo punto interrogativo: e adesso? Che ne è e che ne è stato del Nord? Quale rappresentanza “strappata” va ricucita e alzata come insegna sul Campanile?
Noi, 23 anni dopo, abbiamo il dovere di ricordare non per ritrovarci come tra combattenti e reduci, perché non ce ne sono più, ma per riconoscerci, tra la nostra generazione e quella che non era ancora nata allora, come partigiani di un liberazione incompiuta.
La reazione dello Stato fu quella di una bestia ferita e terrorizzata da un gruppo di veneti della porta accanto. Fu cercata una punizione esemplare. Come fece Bava Beccaris. Un Nord che cercava l’autonomia non doveva esistere.
Perché però in quelle ore, in quella notte, il partito del Nord non fu interlocutore di un dialogo, di una risposta democratica parlamentare a quella scalata del Campanile? Perché si girò dall’altra parte, perché si tirò indietro? Perché quel grido fu solo punito, strozzato, preferendo l’inizio di un lento, inesorabile declino anziché convogliare quel gesto estremo in una ricerca di libertà? Fu lì il vero ictus della storia che ha cambiato il corso della politica del Nord. Una salita al Campanile, una discesa verso il silenzio, camuffato da riforme mai compiute. Una via democristiana spacciata per via democratica che anche oggi nel presente ha successo, a casa nostra.
Dobbiamo risalire sul Campanile! Con la politica. Lo scrissero persino in un fondo irripetibile i settimanali diocesani del NordEst. Furono più capaci loro di provocare la politica più che la politica di provocare lo Stato a dare risposte certe al bisogno di libertà. Si sperava nella Bicamerale per le riforme, si sperava nella devolution, si sperava nel Titolo V della Costituzione.
Oggi siamo ancora davanti allo stesso punto cardinale di una rivoluzione i cui protagonisti politici di allora sono passati dalla parte del “nemico”.
La vita che ruota attorno al Campanile è per me il punto d’arrivo e di ripartenza. La politica ha tradito le attese, le aspettative. E adesso? La storia ci invita a dare un voto ai tentativi democratici, a quelli esasperati ma simbolici di un popolo, quello veneto senza dubbio in trincea più di tutti, per aprire un varco, inventarsi un nuovo passaggio da qui, da questo Stato, verso un altro Stato.
I veneti ce la possono fare, possono risalire e riconquistare un baluardo di libertà. Esiste il voto, è quello il punto di ripartenza. L’obiettivo è arrivare “dentro” il Campanile. Faccia a faccia non con gli italiani ma con i veneti che hanno cambiato la loro bandiera.
Cadono le monarchie, cambiano i confini, cambiano gli Stati. Anzi, muoiono. Esistono persino due Papi. Ma l’Italia non ammette ancora, così diversa e così distante nei territori nelle loro esigenze economiche, culturali, sociali, che si possa appartenere a identità lontane, tenute insieme per conservare i privilegi di una parte e saccheggiare le risorse di un’altra.
Tutto però si può rubare, tranne la bandiera. E tanto meno un veneto non deve rubare ad un fratello veneto la nostra insegna.