di David Carretta E Massimo Maugeri (Agi) – In origine il ‘Brexit day’ doveva essere il 29 marzo 2019. Poi il 12 aprile, infine il 31 ottobre, ma con il rischio di un rinvio al 1 giugno se il Regno Unito non avesse partecipato alle elezioni europee. Invece, l’Unione Europea oggi è stata costretta a concedere la terza proroga in sette mesi al Regno Unito, spostando il termine ultimo dell’uscita al 31 gennaio 2020, sempre che il Parlamento di Westminster riesca a approvare e ratificare l’accordo di recesso entro quella data.
Tre anni e quattro mesi dopo il referendum del 26 giugno 2016, il numero di rinvii sulla data di uscita chiesti dal Regno Unito e accettati dall’Ue è indicativo del caos in cui è precipitata la politica britannica a causa della Brexit. Le procedure dell’articolo 50 del Trattato, che regola le modalità di recesso di uno Stato membro, sono iniziate il 29 marzo del 2017, quando l’allora governo di Theresa May ha formalmente notificato la sua volontà di uscire dall’Ue.
La prima bozza di accordo tra il Regno Unito e l’Unione Europea è stata siglata da May il 25 novembre del 2018. La seconda bozza del “deal” è stata sottoscritta dal suo successore, Boris Johnson, il 17 ottobre di quest’anno. Ma il Parlamento di Wesminster non è mai stato in grado di dare il via libera definitivo a un accordo Brexit.
La prima richiesta di proroga è stata presentata da May il 20 marzo del 2019, a soli nove giorni dalla data d’uscita, fissata dal trattato: due anni dopo la notifica formale di avvio delle procedure di recesso. May avrebbe voluto un rinvio della Brexit al 30 giugno, ma il 21 di marzo i capi di Stato e di governo hanno accettato solo una breve proroga fino al 12 aprile per cercare di mantenere la pressione sul Parlamento di Westminster.
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