di ROMANO BRACALINI – Dove eravamo rimasti?! Ma forse è meglio non andare troppo indietro, le nostalgie sono troppe, e quindi… andiamo avanti! Questo è un Paese che non si muove, figuriamoci se si muove con le parole!
E’ un Paese rimasto indietro, arretrato, autoritario, e quindi se individua il nemico lo colpisce con l’arma medievale del vilipendio, che non esisteva nell’impero asburgico e non esiste oggi nel regno d’Inghilterra. Mi pare un’azione, questa referendaria, che si colloca in un momento storico interessante per l’Europa, c’è un fermento nuovo, non solo nei luoghi di cui si parla spesso prevalentemente, la Scozia, la Catalogna, dove il popolo si esprime, ma in tutti ipaesi europei. In Francia non c’è solo una diversità corsa, ma c’è ad esempio la Savoia, dove ha ripreso uno spirito autonomista indipendentista. La Savoia fu oggetto di un turpe baratto, nel 1859 quando i piemontesi la cedettero ai francesi in cambio della più ricca Lombardia.
C’è la diversità normanna, la diversità bretone… E c’è una diversità spagnola nei confronti della Catalogna ma anche di tutte le altre parti della Spagna, i Paesi Baschi. Qualche secolo fa la Spagna era nota come Le Spagne! E così l’Italia, che fino al 1871 era fatta di sette stati, che sono esattamente transitati nell’Italia di oggi, com’erano se non peggio.
Il Comitato richiede come prima cosa un’autonomia, che una regione di 10 milioni di abitanti merita di avere, ma lo scopo finale come quello di molte parti d’Europa è l’indipendenza. Il grande storico francese Fernand Braudel dice che l’Europa per cinque secoli è stata dominata dalle città stato, Firenze, Venezia, Amsterdam, la Lega Anseatica, Amburgo, Lubecca e Brema, e solo per un secolo e mezzo o poco più dagli stati nazione.
Nel libro “La nascita dell’Europa regionale”, lo storico scozzese Christopher Harvie, che insegna all’Università di Tubinga, per non insegnare in una università inglese, spiega come l’Europa sarà fatalmente regionale, ci sarà la rinascita delle grandi città stato perché dopo il crollo dello stato nazione, come sta accadendo adesso perdendo sovranità, finirà per cadere anche per il baraccone autoritario e burocratico dell’Europa unita. Unita non si sa da chi né da quale volontà. Belgio, Spagna, Irlanda, stati nazione e infine città stato, questo è il destino dell’Europa. Avendo in mente questo scenario, occorre iniziare a lavorare per andare avanti: l’autonomia è il primo gradino di richiesta legittima. E poi arriveranno le altre rivendicazioni, sempre legittime ma sempre meno accettate.
Per il voto in Catalogna, la Spagna ha messo in atto una sorta di biechi ricatti, dicendo che se la Catalogna dovesse staccarsi dalla Spagna, non sarebbe più in Europa. Come? Non sarebbe più in Europa? Vuol dire che se ne va via geograficamente?! O c’è un diritto per cui si è in Europa e c’è un diritto per cui non lo siamo? La Catalogna è in Europa, resterà in Europa, ma vuole la sua indipendenza, perché la Catalogna è sempre stata una “cosa diversa” rispetto alla Spagna. Anzi, Le Spagne! E la Catalogna faceva già eccezione secoli fa.
Hanno detto che se vincesse, in Catalogna non sarebbero più pagate le pensioni. Un ricatto che anche lo stato francese ha esercitato in Corsica, dove peraltro è stata concessa una vasta autonomia, pur nell’ambito dello Stato francese. La Corsica è divisa in due dipartimenti, Haute Corse, con capitale Bastia, e Corse de Sud con capitale Aiaccio. Ha una università bilingue a Corte, in francese e in corso.
Nel 1994 a ottobre dopo l’intervista a Harvie, proseguii il mio viaggio per Belfast, per occuparmi della questione nord irlandese. Belfast, per chi la conosce, è una città divisa. I protestanti unionisti da una parte, i cattolici separatisti dall’altra. E’ una città divisa in due da una muraglia inaccessibile. Cavalli di frisia, posti di blocco, un permanente stato di guerra. Una città che fa pena perché secoli dopo secoli è rimasta così. A Belfast intervistai Gerry Adams, il leader del Sinn Féin, “Noi soli”, termine drammatico e appassionato: Noi soli!
Nell’intervista volli fargli una domanda provocatoria. Gli chiesi: ma gli inglesi sono qui da tre secoli, c’è un partito che vuole che stiano qua. Come pensate di cacciarli? Gerry Adams mi guardò di traverso e mi disse: lei cosa direbbe se a Milano ci fossero ancora gli austriaci?
E lo guardai e gli dissi: Magari!
Nel 1848, durante le 5 Giornate, il popolo milanese sbagliò nemico, ma gli errori si capiscono dopo. Non erano gli austriaci, impero civile e tollerante, il nemico. “Fucilavano”, si disse. Silvio Pellico, nel suo libro politico di propaganda Le mie prigioni, si dimenticò di dire che lo Spielberg in Moravia era molto più civile e umano delle carceri piemontesi. Se lo dimenticò. Ma noi oggi vogliamo ricordarlo: se c’è questo vivere civile, se Milano è così con la Scala, Brera, se Monza è ciò che è lo si deve agli austriaci. Fu riconosciuto anche da Sciascia a suo tempo: i milanesi sono così perché hanno avuto gli austriaci. Ah certo, gli spagnoli a Napoli non hanno lasciato una bella eredità.
Voglio chiudere dicendo che le mie convinzioni si basano su tre principi fondamentali. Il primo: Carlo Cattaneo, il mio campione. Il secondo: il federalismo è la mia speranza. Il terzo: la secessione il mio sogno.