
Oggi per i giovani Umberto Bossi è la figura di un anziano signore dalla salute cagionevole e dal destino provato da vicende giudiziarie che lo hanno forzatamente allontanato dalla guida della sua creatura politica. Oggi è Matteo Salvini il comunicatore organico alle masse che traduce in promesse salvifiche alle nuove folle il malessere dell’insicurezza sociale, della precarietà, della perdità di identità, l’accerchiamento globale che ruba democrazia, soldi, futuro.
E’ un diverso fuoco di sbarramento. Ai tempi di Bossi crollava la prima repubblica. Non c’erano i social, nemmeno i telefonini, c’erano le piazze, i comizi. La politica si faceva ancora a mani nude. Oggi Salvini utilizza l’informatica per avere suggerimenti sui temi da proporre. Bossi usava il suo fiuto, il suo istinto istrionico di politico, vero. Come ammetteva Massimo Fini.
Che scrive ancora: “…. Ma alle elezioni del 1994 si assistette a un fatto strabiliante. Bossi aveva scosso l’albero, ma i frutti li aveva colti Berlusconi, il principale sodale economico di colui che era ritenuto l’emblema stesso della corruzione della Prima Repubblica, Bettino Craxi. Fiutato il pericolo, Bossi nel 1995 col suo più bel discorso tenuto in Parlamento, fece cadere, dopo solo un anno, il primo governo Berlusconi. E si mise con le sinistre. Ma in breve queste lo regalarono di nuovo a Berlusconi, per insipienza (la sola cosa intelligente che D’Alema ha detto in vita sua è: “La Lega è una costola della sinistra”. Bossi è sempre stato un uomo di sinistra, lui stesso me lo confessò, una notte, davanti alla solita pizza).

Il secondo assassino è stata la stessa Lega. Il tarlo interno che ha sgombrato la strada agli eventi del 2012. Ma quando mai in una cassaforte si lascia una cartelletta con la scritta The family? Ma neanche un bambino… E si fanno trovare al suo interno tutte le carte vere o verosimili per dare un colpo di maglio alla Lega di Bossi?
Quella parabola viene definita da Fini in modo inequivocabile come “quella del marito che, per far dispetto alla moglie, si taglia i coglioni”.
La Lega di Maroni collassa, arriva quella di Salvini che cambia connotati al partito, che chiude col passato. Tutto ciò che è presalviniano è antico e superato, così come la guerra fredda è superata, perché non serve più il nucleare ma la guerra informatica per avere potere, conquistarlo e mantenerlo. E con i partiti in crescente crisi, vuoti di idee, il populismo ha di che nutrirsi.
Con la differenza che Bossi, pur tra i suoi errori e le sue debolezze, aveva uno spessore politico e una capacità di essere visionario e pioniere che lo tiene saldamente attaccato alla classifica dei veri politici comparsi “sulla scena negli ultimi vent’anni, il solo animato da un’autentica, disinteressata, passione che ha finito per pagare con la salute. E in quest’ora della sua fine politica voglio dirgli, con rispetto, con ammirazione e con affetto: grazie Umberto”.
Lo scriveva Fini allora. Credo lo possano dire, più che i leghisti di oggi al vertice del nuovo partito, che in tutti i modi si sono disfatti di lui, con ipocrita riconoscenza, tutti gli altri leader di partito. Un uomo così non lo avrebbero mai trattato come un paio di scarpe vecchie. Quelle che, non dimenticherò mai, gli vidi indossare, lise e bucate in via Arbe, mentre smadonnava davanti al pc con il buon Alfredo Croci mentre la notte finivamo il giornale elettorale. La notte, col Capo, era fatta per lavorare.