Il declino della Lega viene da lontano, dall’alleanza con Berlusconi

di CLAUDIO ROMITI

Dunque, dopo la sparata di Umberto Bossi, la Lega sembra aver raggiunto un livello di difficoltà tale da metterne a serio rischio la sopravvivenza. Tuttavia, dato il rapido declino che in poco più di un anno ha polverizzato gran parte del suo consenso nel Nord, è probabile che l’attacco del Senatur alla dirigenza maroniana serva solo ad accelerare una fine che già si preannunciava ingloriosa per un partito-movimento che doveva rivoluzionare lo Stato italiota. E da questo punto vista le vicende giudiziarie e gli scandali interni al Carroccio è probabile che abbiano semplicemente innescato il detonatore di un malcontento e di una sfiducia che dopo un ventennio di promesse mancate covava da tempo sotto la cenere.

Dopo aver sventolato per tutto questo tempo la bandiera della libertà padana – declinata sotto varie forme – senza aver portato a casa uno straccio di risultato tangibile, prima o poi doveva scattare una generalizzata ripulsa da parte delle popolazioni settentrionali. Ripulsa che nessuna pulizia interna a colpi di scopettone potrebbe mai scongiurare. In sostanza, la verticale perdita di credibilità che sta affliggendo la Lega viene da assai lontano e passa, tra le altre cose, per il lungo connubio con Silvio Berlusconi e il suo centro-destra. Una alleanza molto tormentata solo nella prima fase – siamo nel 1994 – allorchè Umberto Bossi, accorgendosi che la discesa in campo del famoso imprenditore gli stava rapidamente fagocitando gran parte dell’elettorato, decise di rompere, provocando la caduta del primo ministero Berlusconi. Ma successivamente, dopo qualche anno di isolazionismo politico, la Lega stabilì una sorta di patto d’acciaio con l’uomo di Arcore. Patto d’acciaio che sembra aver resistito anche al cambio di vertice determinatosi in via Bellerio.

Ora, sin dall’inizio, l’accordo con il centro-destra berlusconiano è stato grosso modo giustificato da Bossi e soci sulla base di ragioni di natura strategica. Soprattutto al livello di militanza di base, la dirigenza leghista ha sempre cercato di far intendere che si sarebbe alleata col diavolo in persona pur di portare a casa risultati utili alla causa nordista. Tutto questo muovendosi all’interno di una storica ambiguità oscillante tra l’autonomia, il federalismo e la secessione. Ed occorre riconoscere che l’abilitica politica dimostrata fino alle regionali del 2010, quando raccolse moltissimi voti, è stata notevole. Riuscire, infatti, ad aumentare il proprio consenso all’interno di  una alleanza politica che continuava, con addirittura maggior impegno della sinistra di governo, a saccheggiare il Nord non deve essere stato semplice. Ma come un abile prestigiatore, il quale nasconde alla vista la mano che opera il trucco, Bossi si circondava di tanti simbolici specchietti per le allodole, come alcuni rituali del nulla lungo le sponde del Po, per celare il suo concreto apporto ad una esperienza politica nazionale che si è caratterizzata per aver aumentato come nessuno la spesa pubblica e la fiscalità allargata. Spesa e tasse crescenti le quali, per come si muovono da sempre i flussi finanziari pubblici nel Paese di Pulcinella, si sono tradotte in un ulteriore esproprio di risorse a danno della compenente più produttiva dello Stivale a vantaggio di quelle regioni che vivono in gran parte di sussidi di Stato. Da questo punto di vista si può benissimo affermare che se il tanto odiato centralismo si misura proprio con il livello della spesa medesima e della fiscalità, ciò vuol dire che il Carroccio si è rapidamente trasformato in un partito fondamentalmente centralista, al netto di qualunque suggestione padana si sia potuta mettere in campo.

Oramai ritengo che, a prescindere da chi – tra Bossi e Maroni – griderà più forte “Roma ladrona”, sarà assai difficile spiegare ai milioni di produttori privati settentrionali le ragioni che ancora oggi tengono incardinata la Lega ad una alleanza che sembra sempre più strategica solo per acchiappare qualche poltrona. Francamente credo che i “padani” si aspettassero qualcosa d’altro.

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