Com’è irascibile Boldrin: gli piace FARE le critiche, ma non riceverle

di CLAUDIO ROMITI

Pur avendo sostenuto pubblicamente “Fare per fermare il declino” alle elezioni politiche del febbraio scorso, oggi non ripeterei la stessa scelta. Ciò sia per una questione di natura politica e sia per un problema di rispetto personale, che mi sembra abbastanza carente in questo partitino dalle grandi pretese, così come ho potuto direttamente sperimentare in quel di Perugia la scorsa settimana.

Nella capoluogo umbro si è tenuta infatti una due giorni post-congressuale della formazione capitanata da Michele Boldrin, in cui era previsto in conclusione un dibattito aperto al pubblico di due ore e mezza, almeno sulla carta. Per questo motivo, presentandomi come aspirante aderente, ho ingenuamente creduto che si trattasse di uno spazio di discussione relativamente libero. Invece ho avuto la sgradevole sensazione di trovarmi di fronte alla solita operazione politica di piccolo cabotaggio, in cui lo spazio di discussione col pubblico in sala, lungi dal voler aprire un momento di autentica riflessione su alcuni nodi del presente, appariva finalizzato unicamente a celebrare il trionfo di chi è uscito vittorioso al congresso. Tant’è vero che al manipolo di individui intervenuti, tra cui il sottoscritto, è stato concesso il “lusso” di porre una domanda, limitando in alcuni secondi il proprio intervento.

Schiacciato dal  pochissimo spazio a disposizione, ho scelto di porre all’attenzione dell’uditorio due minuscole  questioni. In primis, rivolgendomi direttamente al presidente neo-eletto Boldrin, ho chiesto con quale credibilità  si poteva pensare di rivoltare lo Stato come un calzino (secondo un proponimento più volte ripetuto dal professore veneto) se il suo partitino non è riuscito a realizzare un meccanismo per il tesseramento ragionevolmente semplice ed alla portata di tutti. Un meccanismo diverso dall’attuale per cui, pur avendo previsto un forte sconto per i giovani, gli anziani e i disoccupati, è comunque necessario possedere una delle sei carte di credito più diffuse sul territorio nazionale (a margine occorre inoltre aggiungere che risulta ben strano che Fare accetti la più praticabile modalità del bonifico per le donazioni volontarie, mentre la esclude per il tesseramento. Qualche maligno potrebbe insinuare che questa evidente forma di sbarramento possa facilitare il controllo del partito).  Sta di fatto che dopo questa banale riflessione la già palpabile ostilità manifestata dall’amico Boldrin nei miei riguardi – forse anche a causa di alcune riflessioni critiche pubblicate su L’Indipendenza – si è acuita, allargandosi a macchia d’olio all’interno dell’assemblea dei notabili.

A quel punto il capo indiscusso della formazione che vuole fermare il declino del Paese, con atteggiamento dialogico e democratico, mi ha intimato seccamente di tralasciare l’argomento e passare alla domanda. Domanda che, nonostante la citata, crescente ostilità in sala, ho immediatamente posto, senza tuttavia ricevere alcuna risposta in merito dagli autorevoli interlocutori. In sostanza, dato che si parlava di tagli alla spesa pubblica, ho chiesto ai vertici di Fare se si rendono conto della difficoltà politica di realizzare nel concreto  significativi risparmi di spesa, quando da quest’ultima discendono tutta una serie di interessi consolidati, posti di lavoro in testa. Citando il capitolo dei tanto strombazzati costi standard nella sanità pubblica ho cercato di spiegare, suscitando molti commenti di disapprovazione tra gli stessi notabili, che in molti casi il costo aggiuntivo di un prodotto non è solo frutto di mera corruzione, bensì esso rappresenta uno strumento di consenso con il quale la politica può, ad esempio, sussidiare una azienda con forte deficit di competitività. Avrei anche aggiunto, se mi fosse stato consentito di proseguire per un minuto, che non vedo altre alternative per tentare di costruire una piattaforma politico-programmatica realistica che quella di spiegare al popolo, compresa la enorme massa dei beneficiari della spesa pubblica, che senza una necessaria linea di sacrifici dal lato delle uscite pubbliche il sistema economico è destinato a rapidamente a collassare. Ma analizzando il tono generale delle cose dette dagli esponenti di Fare, mi è sembrato che questi ultimi fossero di un ben diverso avviso, similmente a quei romani che, con i barbari alle porte, preferivano disquisire sugli addobbi dei loro edifici pubblici.

Fondamentalmente, unita ad un fisiologico quanto legittimo desiderio di raggiungere una poltrona elettiva, è parsa prevalere l’esigenza di mettere in scena una proposta politica che privilegiasse il lato attrattivo, piuttosto che puntare ad un realismo liberale che, si presuppone, appare inevitabilmente destinato alla sconfitta irrimediabile o, in subordine, a raggiungere un livello di pura testimonianza. Tanto è vero che, in conclusione, lo stesso Boldrin ha definito con chiarezza il suo punto di vista in merito. Egli ha infatti sostenuto che, dopo essere tornato stabilmente in Italia, si è reso conto di quanto fosse ancora molto radicata una cultura solidaristica di matrice cattolica. Quest’ultima testimoniata, a suo dire, dalla straordinaria propensione degli italiani ad aderire, assai più che in altri Paesi, ad una infinita gamma di associazioni ed organizzazioni collettive, in gran parte finalizzate alla tutela dei gruppi e degli individui. Questo dovrebbe spingere chi mira, come lui dichiara, a raggiungere una quota di consensi elettorali  sufficiente per entrare nella stanza dei bottoni ad elaborare una strategia di medio e lungo periodo che possa, pur portando avanti una linea di cambiamento, guadagnarsi la fiducia di quella maggioranza di cittadini che, credendo nel mito della solidarietà e della mutua assistenza, si aspettano ogni guarentigia e sinecura dalla Stato leviatano. Ebbene, l’ideona di Boldrin sarebbe – testualmente – quella di costruire attraverso una lungimirante azione politica una diffusa e variegata rete di sostegno alla persona puntando sulla cosiddetta sussidiarietà sociale. In tal modo, consentendo alla sfera privata  di mettere in piedi molte  forme di protezione volontaria,si  sgraverebbe il sistema pubblico di parte degli attuali, insostenibili costi, determinando di conseguenza i presupposti per un  significativo alleggerimento del carico fiscale sulle imprese e sulle famiglie.

Bellissimo ed edificante proponimento, non c’è che dire. Solo che mi sembra di notare una piccola pecca nel ragionamento politico del “conducator” di Fare. Un sistema sociale schiacciato da un controllo pubblico delle risorse che ha raggiunto il 55% del Pil, ci si chiede, dove mai potrebbe trovare le risorse necessarie per cominciare a far concorrenza allo Stato ladro sul piano delle coperture attualmente offerte? Anche perché, gran parte di quella che qui chiamano solidarietà (associazioni alla Marino per intenderci) è foraggiata dai soldi pubblici. Inoltre, ed è questo forse l’elemento più serio, mentre il Paese reale scivola sempre più velocemente verso il baratro economico e finanziario, un partito come Fare, oltre a proporre la succitata strategia della sussidiarietà di matrice cattolica, dove e come interverrebbe nel breve periodo per invertire, o almeno bloccare la drammatica deriva in atto?  Anche perché i barbari del fallimento sono veramente alle porte, e continuare a baloccarsi con i machiavellismi politici di uno strano liberalismo che ambisce innanzitutto a prendere i voti di chi vive da molte generazioni di spesa pubblica non può che accelerare il disastro. In questo modo si riuscirà forse a raggranellare qualche voto in più, ma non certamente a fermare un declino tramutatosi nel frattempo in una vera catastrofe economica e sociale. Ma l’importante è Fare, cosa non importa.

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