Bisonti in crisi. La bomba che sta per esplodere: 21mila Tir in meno, i costi più alti d’Europa

TIR CODADall’inizio della crisi (2009) a oggi si contano quasi 21.000 attività in meno (*), lasciando senza un’occupazione almeno 70.000 addetti. Assieme alle costruzioni, l’autotrasporto ha subito i contraccolpi più negativi di questo momento così difficile: il crollo della domanda, i costi di esercizio record, la concorrenza sleale praticata dai vettori stranieri e i pagamenti sempre più dilatati nel tempo ne hanno fiaccato la tenuta. Un mix di criticità che, da quest’oggi, ha fatto scattare lo stato di agitazione della categoria. Quello del trasporto su strada è un settore molto importante per l’economia del nostro paese; la CGIA ricorda che le 84.500 imprese del settore distribuiscono l’85,4 per cento delle merci che viaggiano in Italia, contro una media dell’Ue a 28 di 10 punti inferiore. E a queste 84.500 realtà presenti sul territorio vanno aggiunte almeno altre 40.000 imprese prive di automezzi che svolgono quasi esclusivamente attività di intermediazione avvalendosi sempre più spesso a vettori stranieri. “Abbiamo i costi di esercizio più elevati d’Europa – sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – a causa di troppe tasse e di un deficit infrastrutturale che costa all’intero sistema economico oltre 40 miliardi di euro l’anno. Senza contare che il settore è costretto a sostenere delle spese ingiustificate per la copertura assicurativa degli automezzi, per l’acquisto del gasolio e per i pedaggi autostradali. (*) Le principali fonti statistiche nazionali presentano dati non omogenei sulla dimensione numerica del settore dell’autotrasporto. Abbiamo deciso di ricorrere alla banca dati dell’Infocamere-Movimprese perché misura il numero delle imprese in attività e, a differenza delle altre, ci ha consentito di costruire sia una serie storica sia la comparazione tra Regioni.

Tutto ciò si è tradotto in un dumping molto pericoloso, in particolar modo per le aziende ubicate nelle aree di confine che subiscono la concorrenza proveniente dai vettori dell’Est Europa”. Questi ultimi, infatti, hanno imposto una “guerra” dei prezzi che sta spingendo fuori mercato molti piccoli padroncini. Prosegue Zabeo: “Pur di lavorare, sempre più frequentemente i nostri viaggiano sottocosto con tariffe che mediamente si aggirano attorno a 1,10-1,20 euro al chilometro, mentre i trasportatori dell’Est – spesso in violazione delle norme sui tempi di guida, delle disposizioni sul cabotaggio e con costi fissi molto inferiori – corrono a 80-90 centesimi. E’ evidente che con questa disparità di prezzo molti autotrasportatori italiani sono stati costretti a gettare la spugna”. Purtroppo, tutte le realtà territoriali hanno subito una drastica diminuzione delle aziende. “Non è un caso che la regione più colpita – esordisce il Segretario della CGIA Renato Mason – sia stata il Friuli Venezia Giulia. Dal 2009 alla fine del 2016 il numero delle imprese attive è diminuito del 27 per cento. Altrettanto preoccupante è stata le contrazione del 25,8 per cento registrata in Piemonte, del 24,8 per cento avvenuta in Toscana e del 24,7 per cento maturata in Liguria. Anche tra il 2015 e il 2016 l’emorragia non si è fermata. Tutte le regioni presentano un segno meno. A fronte di una diminuzione complessiva di 2.055 imprese a livello nazionale, il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte e la Liguria si posizionano nei primi posti della graduatoria della riduzione del numero di imprese espressa in termini percentuali” (vedi Tab. 1).tab1

Abbiamo i costi di esercizio più alti d’Europa Come abbiamo sottolineato più sopra, le ragioni dello stato di agonia in cui versa l’autotrasporto sono molteplici. La voce costi, ovviamente, è tra le più importanti.  Nel 2013, secondo l’ultima analisi elaborata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, l’Italia presentava il costo di esercizio per chilometro di un autoarticolato a 5 assi più alto d’Europa (**). Se da noi era pari a 1,60 euro/Km, in Austria era di 1,57 euro, in Germania di 1,55, in Francia di 1,52, in Slovenia di 1,26, in Spagna di 1,22, in Ungheria di 1,08, in Polonia di 1,07 e in Romania addirittura di 0,93 euro (vedi Tab. 2).tab2

Tra i costi che incidono maggiormente sul bilancio di un’attività di autotrasporto c’è il prezzo del gasolio (voce che mediamente incide per il 30 per cento circa del fatturato), che in Italia è il più elevato di tutta l’area euro. Se da noi il prezzo alla pompa è attualmente di 1,402 euro/litro, la media nell’area euro si attesta su 1,230 euro/litro: 17,2 centesimi in meno che da noi (***) (vedi Tab. 3).tab3

Anche i pedaggi autostradali hanno subito dei rincari del tutto ingiustificati. Se tra il 2009 e il 2016 l’inflazione è aumentata del 9 per cento, i pedaggi, invece, sono cresciuti del 30,4 percento: addirittura 3 volte tanto (****) (vedi Tab. 4).

I controlli su strada riguardano soprattutto i mezzi italiani Sebbene l’Italia, verso la fine del 2016, abbia aggiornato la normativa contro l’elusione di molti istituti contrattuali praticata soprattutto dalle aziende dell’Est Europa (distacco, somministrazione transnazionale, etc.), gli ultimi dati disponibili indicano che l’86,3 per cento dei 330.000 controlli su strada effettuati dalla Polizia stradale nel 2015 ha interessato mezzi italiani, il 12,3 per cento veicoli di nazionalità europea e un altro 1,4 per cento Tir residenti in paesi extra Ue (vedi Tab. 5). (**)tab 4-5

L’analisi include tra i costi di esercizio quelli relativi al carburante, al conducente, ai pneumatici, all’acquisto del mezzo, ai pedaggi autostradali, all’assicurazione, alla manutenzione/ riparazione e alla tassazione sul veicolo. (***) Gli autotrasportatori, proprietari di veicoli con massa complessiva pari o superiore alle 7,5 tonnellate, possono richiedere il rimborso dell’accisa sul gasolio. La misura del beneficio per ogni 1.000 litri di carburante consumato viene stabilita dall’Agenzia delle Entrate in relazione agli incrementi subiti dalle accise. (****) Anche per i pedaggi autostradali è possibile ottenere un rimborso annuale che è in funzione dell’anno di immatricolazione dell’automezzo e del fatturato annuo dell’azienda.

Se teniamo conto che le principali infrazioni contestate dalla Polizia stradale riguardano il trasporto abusivo, il superamento dei limiti di velocità e il mancato rispetto dei tempi di guida/riposo, in tutti e 3 i casi emerge che l’incidenza percentuale di queste violazioni sul totale di quelle comminate per nazionalità è molto elevata tra gli stranieri e nettamente più contenuta tra gli italiani (vedi Tab. 6).tab 6-7

 

(b) Spazio complessivamente percorso dalla unità veicolari entrate in autostrada (unità di misura dei flussi di traffico). Si precisa anche che, i dati indicati in tabella fanno riferimento alle pubblicazioni “semestrali 3-4” degli anni dispari che consentono, alla data del 16 marzo 2017, un confronto diretto con l’anno pari precedente (ad esempio il 2015 è pienamente confrontabile con il 2014); infatti nel corso del tempo c’è stata una leggera crescita della rete autostradale oggetto delle statistiche (passata da 5.485,9 km del 2009 a 5.725,8 del 2015); per questa ragione i tassi di crescita riferiti all’anno dispari coincidono con quelli indicati dall’AISCAT (nella rispettiva pubblicazione 3-4 dell’anno dispari) mentre quelli riferiti all’anno pari possono scontare alcune minime differenze (dovute alla variazione dei tratti autostradali).

 

 

 

 

Ciò vuol dire che tra i non italiani la regolarità e il rispetto delle attività di autotrasporto è nettamente inferiore a quella dei nostri camionisti. “In molte regioni del Nord – conclude Zabeo – i mezzi in circolazione con targa straniera sfiorano ormai il 50 per cento del totale. Poichè una buona parte opera in palese violazione della normativa comunitaria sul cabotaggio stradale (*****), auspichiamo che i controlli si concentrino sempre più su queste ultime attività”.

Il calo della domanda e i pagamenti che non arrivano mai La crisi di questi ultimi anni ha contratto la domanda aggregata e conseguentemente anche la produzione industriale. L’effetto di tutto ciò ha dato origine a una forte riduzione delle merci trasportate. Secondo una nostra elaborazione su dati Aiscat, tra il 2009 (primo anno nero per i flussi) e il 2015 il traffico di veicoli pesanti nelle autostrade italiane è sceso ancora: di oltre 327 milioni di veicoli/Km (-1,8 per cento). A partire dal 2014, comunque, c’è stata una prima inversione di tendenza che si è consolidata nel 2016. Nei primi 9 mesi dell’anno scorso rispetto allo stesso periodo del 2015, infatti, è stato registrato un aumento del traffico pesante del 4 per cento. Nonostante qualche timido segnale di ripresa, rimane ancora un grosso problema farsi pagare dai committenti entro tempi ragionevolmente brevi. Se le disposizioni europee stabiliscono che nelle transazioni commerciali tra imprese private il pagamento deve avvenire entro 60 giorni dall’emissione della fattura (o fino a 90 giorni se c’è l’accordo tra entrambe le parti), quando va bene i trasportatori italiani vengono pagati a 120/150 giorni. Una situazione che ha messo in seria difficoltà la stragrande maggioranza dei padroncini da sempre sottocapitalizzata e a corto di liquidità. (*****) Il Regolamento CE (n° 1072/2009) consente ad un vettore comunitario, in possesso di licenza comunitaria, di effettuare fino a 3 trasporti interni successivi al trasporto internazionale in uno Stato membro diverso da quello di residenza. L’ultimo scarico prima di lasciare lo Stato ospitante deve avere luogo entro 7 giorni dall’ultimo scarico nello stato membro ospitante nel corso del trasporto internazionale in entrata. Attualmente tutti gli Stati membri sono ammessi alla pratica del cabotaggio, ad eccezione, fino al 30 giugno 2017, della Croazia.

I numeri: un settore fatto di micro imprese Gli ultimi dati disponibili sono riferiti al 2014 e indicano in oltre 43 miliardi di euro il fatturato del settore mentre il valore aggiunto è di 11,1 miliardi di euro. Gli addetti sfiorano quota 300.000: 76.000 circa sono titolari e/o soci d’azienda, poco più di 221.000 sono i dipendenti. Oltre il 90 per cento delle imprese dell’autotrasporto si concentra nella classe fino a 9 addetti; la quota sale al 97 per cento circa per la classe sotto i 20 addetti. Le aziende con meno di 9 addetti danno lavoro al 45 per cento circa dell’occupazione complessiva; la quota sale al 62 per cento per le imprese con meno di 20 addetti.

 

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