di ROBERTO BERNARDELLI – Leggo su Il Sole 24 ore, che non è la Gazzetta di Marte e Plutone, che la Polonia e il nostro Mezzogiorno beneficiano di analoghe dotazioni di fondi.
Ma…. i risultati sono abissalmente diversi. Eppure i risultati sono diversi. “Conti in ordine, buona base industriale, gestione centrale della politica di coesione regionale e un sistema scolastico di buon livello spiegano buona parte del gap nella capacità di spesa delle risorse europee disponibili per gli investimenti e soprattutto nei risultati in termini di crescita tra le due aree che ricevono quasi la stessa quantità di aiuti pro-capite da parte della Ue ma registrano tassi di crescita completamente opposti”. Ma va?!
Un’analisi a firma di Giuseppe Chiellino apre chirurgicamente la questione. La Polonia, scrive, “è il paese europeo che cresce di più, il 5,1% nel 2018 e il 4,2% quest’anno, escludendo Irlanda e Malta che hanno tassi crescita più alti ma non dimensioni tali da essere paragonate all’Italia che è il Paese più lento: +0,9% l’anno scorso e praticamente fermo quest’anno (+0,1%). Divergenti nella crescita, Polonia e Italia hanno una cosa in comune: sono i primi due beneficiari dei fondi strutturali europei: più di 86 miliardi la prima e poco meno di 45 miliardi la seconda nella programmazione 2014-2020”.
E già qui mi sento male.
“Il parametro è l’intensità dell’aiuto, misurato in euro procapite: 239 all’anno per un polacco contro i 200 di un cittadino di Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. Nel Mezzogiorno, però, la crescita non ha superato lo 0,6% nel 2018 e sarà ancora più bassa quest’anno (dati Svimez)”. Ma che sorpresa…
Sapete di quanto cresce di più la Polonia? Ha ritmo 8-10 volte maggiore di quello del Mezzogiorno.
Il Sole allora ha chiesto il perché queste differenze a Marc Lemaitre, direttore generale della Dg Politiche regionali della Commissione europea, che sovrintende alla gestione della politica di coesione e dei fondi strutturali.
Ecco le risposte…
L’economia in Europa corre solo a Est (grazie ai fondi Ue)
«Siamo di fronte a dinamiche molto diverse», spiega Lemaitre. «Le condizioni di partenza della Polonia sono abbastanza uniformi, non paragonabili a quelle del Sud Italia che è parte di un sistema Paese molto più sviluppato, con un costo del lavoro molto più alto che diventa un problema serio quando si fa il confronto in termini di produttività».
Inoltre «anche quando era un Paese comunista, la Polonia aveva già una base industriale diffusa e diversificata che con l’ingresso nell’Ue è stata rafforzata grazie all’apporto enorme di investimenti dall’estero, non solo dell’Unione europea, che hanno inciso fino al 10% del Pil e soprattutto hanno portato nuove tecnologie e rinnovato la base industriale esistente».
Il sistema scolastico e il debito pubblico
Poi arriva qualche sorpresa… «La Polonia ha un sistema educativo di alta qualità, mentre l’Italia ha molte debolezze, come abbiamo scritto nel Country Report pubblicato a fine febbraio» ricorda l’alto funzionario europeo.
«Il sistema di istruzione e formazione – si affermava nel documento – è caratterizzato da ampie differenze regionali in termini di risultati nell’apprendimento e di infrastrutture e attrezzature scolastiche».
Il debito pubblico «La Polonia – per Lemaitre – ha finanze pubbliche sane: debito inferiore al 50% del Pil, deficit intorno all’1% che con quei tassi di crescita è praticamente zero. Questo consente una mole di investimenti pubblici che, aggiunti ai fondi europei, arrivano al 4-5% del Pil ogni anno. E spiega i grandi passi avanti che sta facendo la Polonia».
Però il nodo vero è il sistema statale….
La pubblica amministrazione in Polonia? «Per capirci – chiarisce Lemaitre – i progetti e gli appalti vanno avanti a passo spedito, al contrario di quanto avviene in Italia e nel Mezzogiorno».
Altra ragione del successo, è la gestione centrale delle risorse… “Visione unitaria, programmazione coordinata, realizzazione dei programmi sotto controllo, facilità e rapidità di intervento quando necessario. In Italia, invece, il pallino è nelle mani delle regioni e dei ministeri”.
E il sovranismo salverà il paese? Neanche per idea… “L’incapacità di sciogliere questi nodi, anno dopo anno, sta spingendo i Paese sempre più in basso nelle classifiche dell’Unione ed è improbabile che ricette sovraniste possano ridare slancio all’economia. E se a qualcuno venisse in mente di dare la colpa alla zona euro, da cui la Polonia è fuori, la risposta è nei dati di crescita della Spagna, terzo paese beneficiario dei fondi europei: +2,6% nel 2018 e +2,1% quest’anno.
Ma c’è una regione che in Italia svetta per capacità di far fruttare i fondi Ue, ed è l’Emilia Romagna,
Il caso Emilia Romagna
Questo non significa che in Italia non ci siano realtà in grado di crescere a ritmi superiori alla media europea, nonostante siano state colpite pesantemente dal decennio di crisi.
«Questa regione dimostra che l’approccio strategico all’innovazione funziona. Abbiamo visto crescere l’Emilia Romagna un anno dopo l’altro, è passata dagli investimenti in infrastrutture di ricerca ai progetti di innovazione. Per 20 anni ha lavorato per mettere in connessione la ricerca, che produce innovazione, con le imprese e i settori produttivi che di quella innovazione hanno bisogno. Oggi ha una S3 ben definita, ha un tessuto produttivo molto dinamico e con forte propensione all’export e una disoccupazione inferiore alla media europea».
Si interroga giustamente l’autore:
“A questo punto l’interrogativo è: cosa farebbe l’Emilia Romagna se fosse in un “sistema Paese” diverso, in Germania o in Svezia? Ma a questa domanda nessuno potrà mai rispondere…”.
Eh sì, se fosse tutto il sistema Nord a funzionare così…