di Roberto Bernardelli – Il Nord 30 anni fa aveva iniziato un suo Rinascimento. Quello che partiva dalla consapevolezza di essere un popolo sfruttato e umiliato dallo Stato assistenziale. Una scuola coloniale, un sistema dell’apparato pubblico meridionalizzato, un dare e un avere che vedeva fiumi di sprechi dirottati ad un Mezzogiorno che non traeva alcun beneficio dal denaro pubblico, dai fondi europei. C’era un Nord che aveva preso coscienza che la rivolta avrebbe dovuto essere innanzitutto fiscale, attraverso un bilanciamento dei poteri e il riconoscimento delle identità territoriali. Tradotto: autonomia, federalismo. Ci fu il periodo della strategia della secessione, ma anche del governo del Paese, delle responsabilità e delle regioni a guida leghista. Erano macroregioni di fatto. Ma non se ne fece nulla.
Oggi assistiamo ad una deriva e ad un incistamento su temi che nulla hanno a che fare con la liberazione del Nord da questa tenaglia che stringe e opprime. Valutazioni morali che oggettivamente imbarazzano e che sono anni luce distanti dall’obiettivo ormai tradito da quasi un decennio ormai: dare voce politica alla Padania.
Una mutazione di “genere” per finalità elettorali, da una parte, e perché sotto sotto conviene così. Sono lontani i tempi in cui per difendere le pensioni si faceva cadere un governo. Ma la coerenza, si sa, non è virtù per tutti.
Onorevole Roberto Bernardelli, presidente Grande Nord