di STEFANIA PIAZZO – In Italia neppure i terremoti sono una catastrofe naturale. Paesi costruiti dove non dovevano esistere. Scuole in giro per lo stivale non a norma, ogni tanto si sfonda un tetto. Non sai mai di chi è la competenza, a chi toccava intervenire.
Ciò che accomuna tutte le disgrazie terrene è sentirsi più forti della natura, più forti della magistratura, più forti di chi paga il pedaggio. Più forti e impuniti di ciò che viene divelto, forti e onnipotenti.
Nulla è eterno, figurarsi i giunti, il cemento armato. Ci pensa la natura a ricordarci i limiti, ci pensano l’acqua, la terra, il fuoco, il vento. Consumano l’apparente perfezione dell’ingegneria umana fatta di acqua e sabbia.
E’ venuta giù Messina ai primi del ‘900. Sono crollati il Belice, l’Irpinia. L’Abruzzo, le Marche. E’ venuto giù il ponte Morandi, il ponte di Ferragosto.
Il 1 novembre 1755 a Lisbona ci furono 90mila vittime. Fu tale l’impatto che l’espansione coloniale portoghese subì uno stop decisivo.
Gli eventi naturali cambiano il corso degli eventi, a insegnare che l’uomo non cambia la storia, come spesso crede. E’ la forza della natura, le regole della fisica, a decidere per lui il suo destino.
Oggi nel rimpallo sulle responsabilità del crollo del ponte di Genova, riecheggiano le parole di Voltaire che, irato, se la prese con Dio per il disastro portoghese, con il suo “Poema sul disastro di Lisbona”.
Ed oggi? Oggi i cittadini inermi e senza potere sono come la ginestra di Leopardi che tenta di risorgere nonostante la potenza dello “sterminator Vesevo”, sapendo che prima o poi un’altra colata di lava, politica, di insipienza e onnipotenza impunita, arriverà. Mentre il ministro dell’Interno in un twitter scrive, “In una giornata così triste, una notizia positiva. La nave Ong Aquarius andrà a Malta”, cari viaggiatori, ricordatevi di ritirare il biglietto.