La lezione kantiana – nessun essere umano può mai essere considerato come “uno strumento ma sempre come il fine”-, credo che esca soccombente di fronte alla logica di questa nuova cultura educativa che si è esemplificata, al plesso scolastico Stefanini di Mestre come in molti altri istituti scolastici nazionali, attraverso alzabandiera collettivi con tanto di inno nazionale. Il problema sta nel capire fino a che punto, in manifestazioni rituali come queste, il simbolismo istituzionale sia “fisiologico” e quando, invece, prefiguri una sorta di vera e propria “malattia” nazionalista.
La costruzione simbolica e culturale, che è stata così proiettata sulle fisiologie mentali degli alunni, forma non solo un contesto, ma soprattutto un sistema talmente interconnesso di significati da cui non è possibile eliminarne neanche uno senza che venga messo in discussione tutto. Ed è questo il pericolo insito in questo tipo di rituali collettivi che non si riesce ad evitare.
Il contatto con il “sacro” istituzionale trascendente, che proprio perchè è un contato potente, diviene, in questo modo, una sorta di “tabù” che fa si che il rapporto istituzione scolastica-alunni renda quegli alunni potenzialmente critici su determinati valori storici e culturali nazionali degli “impuri”.
Tutti i rituali di questo tipo, tanto più deprecabili se esercitati in luoghi che dovrebbero essere massimamente deputati all’esercizio del pensiero critico, hanno la loro motivazione a livello dell’inconsapevole e dell’implicito culturale; elementi antropologici che vengono sempre coercitivamente interiorizzati quando sia presente un “contesto” di questo tipo.
Prodromi inquietanti, dunque, di una nuova e forzata “educazione nazionalista”?