di Pierluigi Crola – C’è poco da festeggiare. E la foto di questo menù tricolore è l’istantanea più efficace per celebrare questa festa a tarallucci e vino, il simbolo più eloquente di questa pseudofesta. La prima ironia del manifesto è vedere un termine in lingua locale associato al tricolore, che come si sa, protegge tutto tranne che le espressioni locali. Sarebbe come un militante corso che stringe la mano al presidente francese, o un basco che abbracciasse un franchista.
Ma come mai, direbbe qualcuno, tanta ironia nel celebrare il passaggio alla libertà, alla democrazia, a un mondo migliore? Perché la festa della liberazione ha in sé una mezza verità. La parziale verità è la sconfitta del fascismo, i cui eredi in Europa sono ancora più che vivi e vegeti: basti pensare ai successori di quell’Aznar, oppressore del popolo catalano, che ai suoi tempi pensava di far comunella con i post franchisti.
Perché allora liberazione incompiuta? La liberazione c’è stata ma non la vera libertà, di cui la democrazia è stretta parente. La libertà coincide infatti con la democrazia, o governo del popolo. Dalla liberazione è nata la Costituzione, la quale, innanzitutto impedisce o quanto meno rende quasi impossibile l’autodeterminazione di un popolo in Italia, ma che riconosce l’autodeterminazione di un popolo al di fuori dei confini. È un po’ come per la tutela delle minoranze linguistiche: non solo alcune lingue sono riconosciute e altre no, ma addirittura la stessa lingua, il ladino, è riconosciuta in Trentino-SudTirolo e non in Veneto.
È la cosiddetta democrazia a corrente alternata, affermazione di alcuni valori quando conviene e negazione degli stessi quando non è opportuno.
La costituzione è quella legge che ha anche sancito il carattere centralista dell’Italia, la cui messa in discussione risulta alquanto complessa.
Il federalismo sarebbe la soluzione più logica: in ogni condominio ogni famiglia si trattiene lo stipendio e dà al portinaio, roma (il carattere minuscolo non è un errore), quanto serve per la manutenzione dello stabile e per le spese comuni. Nel paese dei santi, navigatori e poeti, delle eccellenze, è più logico che il portinaio si tenga tutto e ridistribuisca agli inquilini non secondo le proprie capacità produttive, ma secondo le simpatie, per cui se l’inquilino del terzo piano, fuor di metafora il Nord, potrebbe permettersi la BMW e uno del pianterreno la 500, capita che quello del primo piano si compra la BMW con i soldi di quello del terzo piano e quello del terzo è costretto a comprarsi la 500. Logico no? E, soprattutto, democratico, vero?
A livello internazionale poi, è sempre la stessa costituzione “democratica” che impedisce referendum propositivi o in materia fiscale e di diritto internazionale: l’entrata in Europa, l’adesione all’euro, la costituzione europea, non la decidono il popolo come negli altri paesi “normali”, ma il parlamento, che spesso non coincide con la volontà del popolo.
E allora verrebbe spontaneo chiedersi: è qui la festa?