Non è una Babele di linguaggi, ma un prezzo politico le divisioni all’interno del Pd lo fanno pagare. Dalla Leopolda a piazza San Giovanni, negli ultimi giorni si sono mostrate le diverse prospettive che animano il partito e questo, secondo i politologi interpellati dall’Adnkronos, è un fattore che nel lungo periodo potrebbe incidere sull’elettorato o disegnare nuovi scenari a Largo del Nazareno. ”Presto per dire dove porteranno le spaccature nel Pd, ma se vanno nella direzione di una scissione, non si procede molto lontano – spiega Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica all’Università di Bologna- perché gli ‘scissionisti’ dovrebbero trovare alleati o andare con i grillini, cosa che per loro è culturalmente impraticabile”. ”Ma lo stile di governo del partito ad opera di Renzi non è buono -sottolinea Pasquino – perché va alla ricerca dei ‘dissenzienti’. E qualche volta li aizza, con parole sgraziate, ad alternative che possono essere distanti anche dalle sue intenzioni”. Così il premier che è anche segretario del Partito democratico ”invece ci cercare di unire in una sintesi, finisce per spingere fuori o dividere”. E le conseguenze non si fanno attendere: ”L’elettorato – rimarca lo studioso di processi politici – rischia di vedere un partito non riesce ad essere sufficientemente coeso per dare stabilità all’azione di governo. Perciò una parte di quel partito ha tre alternative: ingoia (ed è una cosa che la sinistra ha spesso praticato), esce silenziosamente (cioè si astiene) o cerca un’alternativa e quindi va in braccio a Grillo”. ”I dissidi è la diagnosi del politologo – rischiano di portare gli elettori del Pd a votare 5Stelle, magari senza entusiasmo. Ma l’entusiasmo non è una cosa che si può misurare sulla crocetta che si fa in cabina, al momento del voto”.
Galline in fuga, dal Pd a Grillo. Il prezzo della spaccatura
Per Alessandro Campi, docente Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia, ”Renzi ha messo in conto di perdere qualcosa alla sua sinistra: una piccola scissione o un pezzo di elettorato che probabilmente sceglierà l’astensionismo al prossimo turno elettorale. Ma – rimarca il politologo che studia Machiavelli – il premier pensa di compensare le perdite con nuovi acquisti”. ”La strategia di aprire a quanti più sentimenti possibili della società – fa infatti riflettere Campi – mette in conto anche una quota di elettorato da perdere”. ”Matteo Renzi – assicura lo studioso – non rifarà la Dc ma neanche metterà su la ‘Big Tent’, la ‘grande tenda’ alla Tony Blair: il leader del Pd è post-classista. Convinto culturalmente che, premendo sull’istanza di modernizzazione, occorra un contenitore che si costruisce marcando la differenza tra il vecchio e il nuovo”. ”Perciò – taglia corto Campi – per il segretario del Pd l”unico discrimine è saper innovare. Renzi vuole imbarcare tutti quelli che si proiettano verso il futuro: che poi siano del Nord o del Sud, operai o astronauti, non fa differenza”.
”E’ tutto fluido, ma al momento non è detto che le divisioni portino subito a delle scelte”, dice Sofia Ventura, docente di Scienze politiche all’Università di Bologna. ”Per l’elettore di centrosinistra – fa notare – non ci sono molte opzioni sul tavolo. Renzi potenzialmente è un vincitore alle prossime elezioni, e di certo è un vincente; nell’elettorato del Pd esiste però un disagio che non trova un’offerta politica alternativa in quello che rimane di Sel”. ”Anche la stella di Vendola sembra ormai sfocata – sottolinea Ventura – mentre si registra lo sforzo di Renzi di mostrare questo fantomatico ‘Partito della Nazione’ come un contenitore che può accogliere tutti, e va da Gennaro Migliore ad Andrea Romano, passando per Davide Serra. Sulla grande ‘Arca’, insomma, ci sono un po’ tutti”. Ma qual è la strategia? ”Un progetto post-democristiano – è l’analisi della politologa – anche se la Dc aveva un radicamento sociale multiplo: era un corpaccione politico, diversificato al suo interno ma radicato sul territorio. L’idea renziana è invece quella di un ‘grande abbraccio’, ma non basta rivolgersi a tutti e fare piccoli regali o dare mazzate attraverso al legge di stabilità. Non non c’è più lo strato sociale per rifare la Dc. Quello che oggi ci vorrebbe – conclude Ventura – è un partito che governi senza avere la pretesa di inglobare la società. La sfida è questa”.
Da Grillo può andare solo chi non ha mai avuto una tessera di partito, quindi la vedo molto dura.